Ogni storia ha un inizio. Mornico al Serio, la sera del 6 febbraio 2010 un giovane ragazzo marocchino, arrivato in Italia da due mesi ed incensurato, muore per mano di un carabiniere. Questo è l’unico dato certo. Ogni storia ha qualcuno che la racconta e, in questo caso, il narratore è il quotidiano “L’Eco di Bergamo”. Ogni storia, però, ha anche diverse versioni ed interpretazioni e un buon narratore dovrebbe metterle in evidenza tutte, lasciando al suo pubblico la possibilità di interpretare.
I primi articoli che raccontano questa storia sono del lunedì e sono confusi. C’è un morto, dei carabinieri in borghese e un paese della bergamasca. Non esistono versioni ufficiali e gli inquirenti non rilasciano dichiarazioni. I giornalisti locali cercano qualche notizia tra la popolazione, riportando le prime impressioni di chi si trovava vicino all’accaduto: una signora racconta di aver appreso dal figlio della presenza dei carabinieri in Via Verdi e di aver chiesto – non si capisce bene quando e come – a dei passanti cosa era successo, apprendendo che un automobile si era allontanata a grande velocità dal luogo di una sparatoria. Altre persone che erano all’oratorio – poche decine di metri dal luogo del delitto – dicono di non aver sentito auto in corsa; uno di loro ricorda di aver sentito un rumore simile “al botto di un petardo” ( M.Armeli, Mi è sembrato il botto di un petardo in “L’Eco di Bergamo” 07/02/2010).
Poi le cose iniziano, sembrerebbe, a farsi più chiare ed i giornalisti de “L’Eco di Bergamo” ricostruiscono una versione dei fatti basata sulla testimonianza di un giovane che transitava con la sua auto nella zona. Il testimone avrebbe visto due auto “sfrecciare per le strade del paese scontrandosi proprio in Via Verdi” (V.Attanà, Mornico. Tragico inseguimento e un morto in “L’Eco di Bergamo” 07/02/2010), ne sarebbe seguito un corpo a corpo con sparatoria e un morto. La dinamica dei fatti resta poco chiara: come si collocherebbe la sparatoria rispetto alla colluttazione?. Questo dubbio, però, non sembra cogliere il giornalista. Il sottotitolo dell’articolo cita: “Lo sparo, che sarebbe partito dai carabinieri, ha ucciso un uomo che non aveva documenti: forse un marocchino”, quasi a voler subito sottolineare che il morto, comunque andrà la vicenda, è un clandestino. Non si può negare che nel bergamasco, una notizia del genere sposta subito il giudizio di una buona fetta di popolazione, visto che la Lega Nord in questi territori da anni batte – con un certo successo – il sentiero della pericolosità dei clandestini.
Ecco poi arrivare la prima versione ufficiale dei fatti. Il titolo dell’articolo è “Cocaina nell’auto che ha speronato i carabinieri” ( E.Biava, Cocaina nell’auto che ha speronato i carabinieri in “L’Eco di Bergamo” 08/02/2010), un titolo che aumenta la diffidenza verso il ragazzo ucciso – descritto come clandestino e spacciatore – piuttosto che l’attenzione verso i fatti. La versione riportata è quella degli stessi carabinieri: dopo il pedinamento di una vettura sospetta, una Peugeot 206, i due carabinieri optano per il fermo, scendono, si qualificano e iniziano attimi concitati. Il guidatore ingrana la retromarcia nel tentativo di fuggire, sperona l’auto dei carabinieri e uno di loro cade in terra. Lo spazio per girare è poco e l’auto dei fermati urta contro il marciapiede forando; il guidatore scende e tenta la fuga a piedi ingaggiando un corpo a corpo con l’agente, nel frattempo rialzatosi. Nella colluttazione il fuggiasco prova a rubare la pistola al carabiniere ed è in questo momento che parte il colpo che colpisce il giovane passeggero, uccidendolo. Questa versione verrà ripetuta sette volte in undici articoli, più del 60% delle volte che si parla della vicenda: sembrerebbe un tentativo di voler rendere ben solido nell’opinione pubblica che è andata così. Non esiste alcuna formula dubitativa sulla versione dei fatti. Nessun interrogativo. Nulla. Viene accettata in toto la versione delle forze dell’ordine, senza nessuna critica all’operato.
L’8 febbraio appare sul quotidiano un piccolo speciale sui nuclei operativi dei carabinieri. Tra le altre notizie si informa che:
“Spaccio di droga, estorsioni e sfruttamento della prostituzione sono tra i fenomeni criminali che negli ultimi anni hanno visto maggiormente impegnati i militari del nucleo operativo di Bergamo. Proprio sul fronte dello spaccio questi carabinieri compiono decine di controlli antidroga in diverse zone della provincia, in autonomia o al fianco dei colleghi delle stazioni, sulla base di informazioni raccolte da confidenti o da cittadini che assistono allo spaccio nel loro quartiere. Anche sabato sera, prima che partisse il colpo che ha ucciso il giovane nordafricano, era in corso un servizio di questo tipo” Cit. Nucleo operativo. La squadra specifica per le indagini, in “L’Eco di Bergamo” del 08/02/2010
Il tono è di appoggio. Un articolo di questo tipo, scritto in un momento in cui una situazione poco chiara vede vicini la morte di un giovane e il coinvolgimento dei carabinieri, serve a rafforzare l’immagine degli agenti. Da sottolineare, inoltre, che si sarebbe potuto dedicare un piccolo speciale anche alla presenza di immigrati nella bergamasca e alla loro situazione: far capire le difficili condizioni sociali ed economiche di molti di loro avrebbe contribuito a costruire un giudizio più equo.
Il giorno dopo, nell’articolo “La vittima dello sparo era in Italia da due mesi” si scagiona la possibile volontarietà dello sparo grazie alla dichiarazione del secondo agente presente sul luogo del delitto: lui era dietro alla portiera del passeggero, perciò, se il collega avesse sparato avrebbe potuto prenderlo. Nessuno attenterebbe alla vita di un collega di proposito, quindi nessun dubbio. Questa dichiarazione ha la stessa probabilità di essere vera quanto di essere falsa: non esistono testimonianze a riguardo, ma l’Eco di Bergamo, preferisce sposare la versione non ponendo nessun dubbio. Il quotidiano evita di osservare che, difficilmente, un agente dichiarerebbe che il collega ha esploso un colpo volontariamente. Di solito, in questi casi, prevale sempre lo spirito di corpo.
L’11 febbraio, finalmente, viene dato spazio alla voce del fratello del ragazzo ucciso. L’uomo è presentato bene: operaio, regolare con moglie e figli. Gli viene dato tutto lo spazio per dire che secondo lui il fratello era innocente: aveva solo 18 anni, era in Italia da due mesi e non parlava italiano; probabilmente nemmeno sapeva della cocaina presente nell’auto. Questa versione non è inverosimile: può darsi che un ragazzo di 18 anni, incensurato, appena arrivato in Italia, abbia accettato l’invito di un connazionale, magari anche lontano parente, ad uscire insieme a lui il sabato sera. Non conoscendo nessuno, avendo – come normale a quell’età – voglia di farsi un giro per scoprire cosa succede, ha accettato. Nulla esclude che fosse all’oscuro dell’attività del connazionale.
L’ultimo articolo in merito alla ricostruzione dei fatti è del 19 febbraio. L’Eco di Bergamo appoggia ancora la versione dei carabinieri, non pone nessuna formula dubitativa: due carabinieri hanno fermato due spacciatori marocchini, uno dei quali ha tentato una violenta fuga, ne è seguita una colluttazione tra un agente e il guidatore durante la quale all’agente è partito un colo di pistola che ha accidentalmente ucciso il passeggero. La vicenda viene lasciata perdere per un anno e un mese.
In tutti gli articoli scritti fino a questo punto non si pone mai l’accento sul fatto che i due fermati erano disarmati e che è rimasto ucciso il passeggero, giovane, incensurato e rimasto inerme per tutto il tempo. L’unica volta che si parla dell’assenza di precedenti lo si fa sottolineando che la posizione di Aziz non era “(…) ancora schedata negli archivi delle forze di polizia” (M.Armeli, Il trambusto in strada e quel corpo disteso a terra in “L’Eco di Bergamo” del 08/02/2010), quasi a dare per scontato che prima o poi ci sarebbe finita.
Il caso, per alcuni aspetti, è simile a quello di Gabriele Sandri, solo che Aziz Amiri non aveva e non avrà lo stesso appoggio e la stessa attenzione.
Il 23 marzo 2011 – a più di un anno dei fatti – si ritorna a parlare del caso: il titolo recita “Diciottenne ucciso da carabiniere. Il pm: archiviate”. Per la prima volta si dice a chiare lettere che un diciottenne è stato ucciso da un carabiniere: prima era sempre stata sottolineata l’accidentalità del colpo. L’articolo è scritto per informare che il Pubblico Ministero ha chiesto l’archiviazione del caso. La richiesta è piuttosto anomala: da una vicenda di questo genere ci si aspetta che si concluda con un’assoluzione o con una condanna; un’archiviazione significa che non è necessario un processo poiché tutto si è svolto regolarmente. Nell’articolo nessuna notizia oltre alla richiesta finale del PM: non si sa come siano proseguite le indagini, se la versione dei carabinieri sia stata confermata in aula, quali siano le motivazioni della difesa e quali le motivazioni dell’accusa. Le notizie non mancherebbero, infatti, pare che esista un testimone che dica di aver udito più spari mai convocato in tribunale. Sembra anche che uno dei due agenti abbia sparato con la sua pistola privata e non con l’arma d’ordinanza, in quanto guasta.
Il 13 giugno 2011 La Repubblica pubblica un articolo che pone diversi interrogativi sulla vicenda e informa i lettori che l’omicidio di Aziz Amiri è all’attenzione del Dipartimento di Stato americano. L’Eco di Bergamo, quasi di rincorsa – il giorno dopo – pubblica un articolo sui fatti (“L’Eco di Bergamo” del 14/06/2011).. Viene ribadita per l’ennesima volta la versione consolidata precedentemente con un unica piccola modifica: il guidatore dell’auto fermata non avrebbe tentato la fuga, ma avrebbe tentato di disarmare il carabiniere attraverso il finestrino aperto dileguandosi dopo lo sparo. Nell’articolo, per voce del procuratore incaricato dalla famiglia Amiri, si fanno comparire i primi dubbi. Gli interrogativi sono virgolettati, dunque sono parole riportate: un metodo spesso usato dalla stampa per smarcarsi da eventuali responsabilità. Le ultime due righe informano telegraficamente di un particolare che potrebbe essere fondamentale: sembrerebbe che il carabiniere abbia sparato con la sua pistola privata e non con quella d’ordinanza. Il giornalista, però, non informa i lettori di quali risvolti penali possa avere tale gesto e lascia dire all’avvocato del militare che “l’altra era in riparazione” (“L’Eco di Bergamo” del 14/06/2011).Nello stesso articolo il giornalista aggiunge un particolare: Aziz sarebbe stato ucciso da un proiettile di rimbalzo. Da dove ricava questa notizia L’Eco di Bergamo? Come mai rischiare di confondere maggiormente le idee dei lettori introducendo una novità che nemmeno i carabinieri hanno mai accreditato?
La rincorsa informativa risulta comunque tardiva: arriva solo il giorno dopo l’esplosione del caso su un quotidiano nazionale e a più di un anno dai fatti.Ci sono molti punti non chiari. È chiaro, invece, che il principale quotidiano bergamasco non ha aiutato molto nel dare informazioni e probabili letture del caso. Da subito si è parlato della morte di Amiri come di una fatalità, una brutta tragedia: per un mese si è insistito sull’innocenza delle forze dell’ordine, poi si è fatto un anno e un mese di silenzio per ricomparire con un articolo in cui si informava della richiesta di archiviazione del caso. Quasi a dire che, alla fine, poiché anche l’accusa aveva valutato che non era necessario procedere è evidente che i carabinieri erano innocenti.
Che l’operazione di Mornico al Serio non sia limpida lo testimonia anche l’analisi fatta dal Dipartimento di Stato americano nella persona di Hillary Clinton. Per il segretario statunitense la morte del giovane Aziz Amiri è ritenuta “un omicidio controverso” e viene inserita nel capitolo del rapporto annuale sui diritti umani intitolato “privazione arbitraria o illegale della vita”.
Ogni storia ha anche una fine, forse questa non è ancora scritta.