Bergamo – Oggi il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo è giunto in visita in un ateneo militarizzato e presidiato da decine di agenti di polizia e carabinieri. Una gestione straordinaria di uno spazio da sempre libero ed accessibile che a memoria non pare avere precedenti. Mentre la polizia in assetto antisommossa impediva l’accesso all’università già dalla prima mattina, agenti in borghese presidiavano corridoi e aule, identificando discrezionalmente decine di persone, perquisendo zaini e borse di chi accedeva alla biblioteca. Stessa sorte è toccata anche alle persone che progressivamente giungevano all’assembramento di protesta contro la visita di Profumo e l’ennesima riforma della pubblica istruzione: non sono mancate perquisizioni e sequestri di striscioni, fumogeni e persino un megafono.
Mentre il ministro giungeva in visita in un ateneo deserto e blindato, circa una cinquantina tra studenti e studentesse delle scuole superiori e dell’università hanno ingaggiato un tira e molla di diverse ore sull’ingresso della sede di Sant’Agostino, e non sono mancati attimi di tensione. Alcuni studenti sono riusciti a violare a più riprese il dispositivo di polizia, come a metà mattina quando dai piani alti dell’ateneo, proprio sopra l’aula del convegno, è stata calato un grande striscione recante lo slogan “C’è Profumo di tagli!”.
La svolta è giunta verso le 14, mentre il ministro, dopo aver anticipato il suo intervento e meno di un’ora dopo il suo arrivo, abbandonava in tutta fretta l’ateneo bergamasco. La protesta, finalmente rotta la stretta delle forze dell’ordine, prendeva allora la forma di un corteo interno all’università, fino all’aula che ospitava il convegno. Durante l’irruzione, gli studenti e le studentesse del Coordinamento dei Collettivi hanno preso la parola per leggere la lettera rivolta al ministro, denunciando un clima di intimidazione e negazione della parola che fa a pugni con la retorica del dialogo che il ministro ha ampiamente utilizzato in occasione del 5 ottobre scorso. Non è mancato il riferimento alla prossima mobilitazione studentesca del 16 novembre, a cui ha risposto la FIOM con la proclamazione di un contestuale sciopero generale. Gli studenti e le studentesse hanno già lanciato un’assemblea pubblica presso l’ateneo, che si terrà nei prossimi giorni, con l’intento di costruire un percorso di avvicinamento all’appuntamento nazionale e rilancio della mobilitazione contro la riforma della pubblica istruzione.
Il ministro era stato invitato all’Università di Bergamo per partecipare al convegno “International Workshop University and Society: Challenges and Opportunities”. Ma a Profumo è parsa interessare poco o nulla la voce di chi la scuola la vive, come d’altronde confermato dalla dichiarazione che recentemente ha scatenato non poche polemica: «Il Paese va allenato. Dobbiamo usare un po’ di bastone e un po’ di carota e qualche volta dobbiamo utilizzare un po’ di più il bastone e un po’ meno la carota». Il bastone è stato misurato il 5 ottobre da centinaia di studenti e studentesse, a Roma e Milano come a Torino, e la giornata di oggi riconferma su un piano locale l’orientamento di forte stretta repressiva.
Questo approccio però non sembra riguardare solo il ministero. La gestione straordinaria di oggi della struttura accademica chiama in causa anche il rettore dell’università, che ha di fatto consegnato gli spazi didattici ad una gestione militare e negato qualunque agibilità a chi chiedeva di poter esprimere il proprio dissenso: «Ci siamo introdotti nell’università in 5 o 6 persone aggirando i controlli della polizia. Volevamo gridare al ministro la nostra contrarietà a questa riforma e, più in generale, alle politiche di austerity, ma non siamo riusciti nemmeno ad aprire la bocca. Ci hanno bloccati, perquisiti e sbattuti fuori. Hanno detto che la nostra libertà d’opinione oggi era sospesa fino a comunicazione contraria». A spaventare il ministero è forse il successo della giornata nazionale di lotta del 5 ottobre o l’allargamento del fronte che il prossimo appuntamento del 16 novembre lascia presagire.
Di certo, le parole d’ordine della protesta studentesca, che sono riecheggiate per tutta la mattinata, non parlano solo al mondo dell’istruzione e non si limitano alla messa in discussione della riforma. Ad essere posto sotto accusa oggi non è stato solo l’impianto neoliberista della riforma, ma anche il quadro più generale di austerity in cui essa si inserisce. Parole d’ordine che parlano quindi anche al mondo del lavoro e a tutto il resto della società.
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Le politiche di Profumo: una questione non solo studentesca
L’attacco all’istruzione pubblica non riguarda solo il mondo studentesco. I malumori sono palpabili anche tra gli aspiranti insegnanti, chiamati a misurarsi con una gestione superficiale dei concorsi abilitanti. Il ministro Profumo rimarrà sicuramente impresso nella memoria dei quasi 180 mila aspiranti insegnanti che hanno tentato di superare le tre prove di selezione per accedere al tirocinio formativo attivo, la prima occasione per conseguire l’abilitazione da quando sono state soppresse le vecchie Silsis. Una generazione di aspiranti insegnanti si è vista precludere ogni possibilità di insegnare, perdendo anni in attesa di decifrare contradditorie comunicazioni ministeriali, senza alcuna considerazione per chi a quelle indicazioni affidava il proprio futuro. L’introduzione dei quiz si accompagna a nuovi criteri di selezione dove competenze e capacità sembrano contare davvero poco. L’abilitazione all’insegnamento sembra oggi vincolata alla disponibilità di tempo e risorse da destinare al tirocinio della durata di un anno, tirocinio da collocare alla voce “lavoro non retribuito”, senza alcuna indennità e, anzi, sottoposto ad un nuovo e cospicuo “balzello” di accesso ai quiz. I 180.000 candidati sono stati chiamati ad affrontare test a risposta chiusa con un margine di errore massimo del 30 % per l’accesso alla seconda prova, ma il ministero ha dovuto revisionare i quiz a posteriori per i refusi in essi contenuti, al punto che in alcuni test sono stati stralciati 27 quesiti su 60. Insomma, 27 quesiti stralciati in un test in cui il margine massimo di errore era di 18 risposte errate! Tenendo conto che gli insegnanti italiani sono i peggio pagati d’Europa, chiamati oggi, a parità di stipendio, a passare da 18 a 24 ore di lezione frontale alla settimana, i nuovi caotici criteri di abilitazione suonano davvero come una beffa.
L’abilitazione all’insegnamento appare come un terno al lotto, ma sembra comunque difficile immaginare chi già lavora nel settore dell’istruzione pubblica come una categoria privilegiata. Profumo infatti è in netta continuità anche con le politiche di tagli e di blocco delle assunzioni che hanno caratterizzato la Triade Tremonti-Brunetta-Gelmini. Le politiche degli ultimi anni in materia di istruzione condividono la stessa tendenza a scaricare i costi sociali dei tagli innanzitutto su chi lavora, attraverso la precarizzazione e la “razionalizzazione” del personale amministrativo. Non a caso uno dei primi atti del Ministro in tema di Università è stato quello di approvare un Decreto delegato (n. 49 del 29 marzo 2012), che fissa il rapporto tra personale amministrativo da una parte e docenti e ricercatori dall’altra. In pratica si vuole definire per legge se un Ateneo ha troppi lavoratori e lavoratrici rispetto alle tabelle ministeriali. In caso di esito negativo, è facile immaginare che si aprano le porte delle dichiarazioni di esubero, seguendo la strada già tracciata da Brunetta: due anni con stipendio ridotto all’80% e poi il licenziamento in caso di mancata ricollocazione (laddove però il ricollocamento appare un’ipotesi irrealistica, visto il blocco generalizzato delle assunzioni nel pubblico impiego). Lo scenario è quello che stanno imparando a conoscere settori sempre più estesi del pubblico impiego: riduzioni di organico e carichi di lavoro che aumentano, esternalizzazioni, salari bassi ed erogati ad intermittenza, precarietà diffusa, servizi sempre più scadenti per studenti e studentesse. Sul fronte della didattica e della ricerca il Ministro porta avanti le stesse politiche della Gelmini: valutazione decisa dall’alto e quote premiali (ad attutire, per pochi, i sempre maggiori tagli del Fondo di finanziamento ordinario), premi ma solo agli Atenei “virtuosi”. Per gli Atenei che non ce la fanno la strada è quella della fusione, della federazione con altri Atenei ed in ultimo la trasformazione in Fondazione.
Se i tagli imposti all’istruzione e la riduzione del personale vengono poi posti in relazione alla volontà di aprire scuole e università ai finanziamenti privati, il timore di un’istruzione subordinata già da un prossimo futuro alle esigenze del mercato appare più che fondato. L’arrivo di Profumo al MIUR si pone in questo senso in decisa continuità con le politiche della Gelmini sui settori della conoscenza. Per quanto riguarda l’Università, le RSU del Politecnico di Torino, Ateneo che ha avuto proprio il ministro come rettore dal 2005, hanno messo in guardia fin dai primi giorni del suo mandato sulle reali intenzioni del ministro. Non a caso, il Politecnico, sotto il mandato di Profumo, ha aperto le porte a FIAT, MOTOROLA, GENERAL MOTOR e PIRELLI. «Affermare che Profumo ha avuto un ruolo determinante nella stesura della riforma Gelmini viene spontaneo -si legge nel comunicato delle RSU dell’ateneo torinese -, se si esamina il piano strategico del Politecnico che già nel 2007 impegnava l’Ateneo ad investire nella ricerca applicata, attirando finanziamenti privati che attualmente superano per entità quelli pubblici. Sempre in tale direzione l’Ateneo ha iniziato, prima ancora dell’approvazione della legge 240, una riorganizzazione che ha comportato la chiusura di sedi decentrate, l’adozione del sistema contabile economico-patrimoniale e di un regime aziendalistico propri della Legge Gelmini».
Uno scenario che Profumo asseconda anche grazie al tacito assenso della CRUI. Il Presidente della Conferenza dei Rettori, Marco Mancini, nelle discussioni sulla riforma Gelmini, ha fatto palesemente capire che i Rettori condividevano in sostanza l’impianto della Legge, proprio per l’accentramento dei poteri nelle mani dei vertici e delle consorterie baronali degli Atenei e soprattutto per il legame a doppio filo che la Riforma avrebbe creato tra le Università e gli investitori privati. Un dato che chiarisce la dimensione del fronte che sostiene la riforma, dando conto al contempo della gestione dell’ordine pubblico misurata nell’ateneo bergamasco dagli studenti e le studentesse che oggi hanno preso parte alla protesta.
[…] Profumo contestato in Università […]
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