Le perplessità dell’ISREC sulla memoria di “Sciesopoli”

Pubblichiamo la lettera speditaci dalla direttrice dell’Isrec Elisabetta Ruffini in cui espone la sua contrarietà all’approccio dell’incontro «I bambini di Selvino. “Sciesopoli” 1945-1948» tenutosi giovedì 30 gennaio presso il Museo storico del paese.

A Selvino, tra il 1945 e il 1948, l’edificio di “Sciesopoli”, inaugurato nel 1933 dal regime fascista come colonia per i Balilla, venne adibito a rifugio e ospitò i bambini ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti e alla Shoah.

Secondo Elisabetta Ruffini, il taglio eccessivamente memoriale dell’iniziativa rischia di ridurre la complessità della storia di Sciesopoli, fortografandone un momento per oscurarne altri.

Gentili redazioni,

sono stata presente all’incontro su Sciesopoli ebraica e la Petizione per la sua memoria tenutosi al Museo storico.

Non essendoci stato spazio per porre alcuna domanda, mi sono rimasti profondi dubbi che vorrei condividere con i miei concittadini, gli organizzatori della Petizione, gli esponenti del sapere e della politica presenti, quanti hanno aderito e le vostre redazioni che si sono occupate tanto dell’argomento in questi giorni.

Non sono della generazione dell’avv. Carlo Salvioni, presidente degli Amici del Museo e del Comitato Antifascista, né sono mai stata come lui in vacanza a Selvino.
Come tanti bergamaschi, ho avuto però amici di Selvino e grazie a uno di loro, a vent’anni, conoscevo la storia di Sciesopoli.

Più tardi, nel mio lavoro all’Isrec sono stata sollecitata più volte con diverse richieste su questa storia e non ho mai avuto esitazioni nell’indirizzare o accompagnare a Selvino e dai suoi abitanti chi voleva sapere.

Sciesopoli non è “un buco nero nella memoria”, come diceva il prof. Sergio Luzzatto. Nella sua memoria, nella memoria ebraica, forse; in quella bergamasca, no.
È certo un luogo senza il suo storico, al massimo un buco nero nella storia, nella storia scritta.
E ieri abbiamo saputo che oggi Sciesopoli ha trovato uno storico, Sergio Luzzatto, che sta ricostruendone la vicenda dal 1945 al 1948.

Oggi, c’è uno storico della Sciesopoli ebraica, non di Sciesopoli.
Del resto, la Petizione “Perché duri la memoria” chiede di “intervenire per salvare la Memoria di Sciesopoli ebraica”.
Non si tratta soltanto di riportare all’attenzione una storia per certi versi inquietante a sentire quanto ha raccontato Luzzatto – i bambini accolti dovevano “dimenticare il loro passato” per diventare dei perfetti sionisti -, ma di incidere di memoria il territorio schiacciandone la vicenda complessiva sul periodo 1943-1945.

Qualsiasi operazione di memoria sull’edificio che intenda ridurre la storia del luogo mi sembra grave e pericolosa.
Grave, perché proprio i luoghi ci insegnano la profondità storica, il concatenarsi delle vite e delle esperienze che nei luoghi transitano. Qualche tempo fa, Luzzatto interveniva contro la tendenza della memoria italiana a costruire “santini”, ma chiedere che si conservi la memoria di un luogo sulla base di un singolo evento della sua storia significa farne un luogo di culto, non un luogo di memoria. Possibile che nelle due ore di incontro dalla memoria di Sciesopoli dei fascisti, cattiva, si sia passati a quella degli ebrei, buona, e nessuno abbia sentito l’esigenza di dirci cosa ne è stato di Sciesopoli dopo il 1948, di ricordare gli altri bambini, quelli malati o sbandati, che passarono per Sciesopoli, bisognerà aspettare un’altra petizione?
Come si fa se l’attenzione è concentrata su Sciesopoli ebraica a trasmettere quella capacità/necessità della Resistenza di infiltrarsi nei luoghi fascisti e ridargli un nuovo senso, un significato aperto sul futuro e sulla costruzione di uno stato antifascista (Luigi Gorini socialista e resistente che si occupò del futuro di Sciesopoli per il CLN nel primissimo dopoguerra è stato citato ieri solo di sfuggita nel suo “approdare a Selvino”)?

La conservazione dei luoghi deve aiutare a far emergere le memorie stratificate di un paese, non a incollare pericolosamente sui luoghi simboli prodotti secondo logiche di appartenenza culturale e/o politica.

Non concordo con Spartaco Capogreco nel considerare che ci sia una memoria che ha coperto la memoria della Sciesopoli ebraica, ma credo che oggi la memoria della Sciesopoli ebraica rischi di sclerotizzare la memoria di Sciesopoli nel suo complesso, memoria che il luogo conserva e che rischia di venire pericolosamente troncata.
Pericolosamente, già.

La Petizione “Perché duri la memoria” finisce per apparirmi un’operazione di memoria pericolosa. Sono profondamente convinta che l’Italia abbia bisogno di rompere con la creazione di logiche identitarie che passano per la costruzione di memorie comunitarie, di memorie familiari.

Possibile che non si riesca a costruire una memoria che sappia custodire la nostra storia, la nostra storia di cittadini di questo paese?
Possibile che non si riesca a costruire una memoria repubblicana, al di là delle individuali appartenenze familiari, religiose, politiche?
Possibile che non si riesca a costruire una memoria quale bene comune, una memoria in cui si intrecciano tutte le storie degli uomini e delle donne che hanno vissuto e vivono in questo paese?
Una memoria che sappia essere accogliente per tutti quelli che oggi abitano questo paese? Non si fanno a fette i luoghi, non si affetta la memoria dei luoghi.

Chiedo alle forze che sempre hanno avuto a cuore la storia del nostro paese di chiedere che Sciesopoli conservi la memoria di tutta la sua storia e se deve diventare un Memorial diventi un Memorial per i diritti dei bambini: i bambini, tutti i bambini, contro le ideologie, tutte le ideologie anche quelle della memoria, e per un futuro consapevole del passato e delle scelte compiute.

Ringraziando della vostra attenzione

Elisabetta Ruffini

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