A Pontida per dire no al razzismo della Lega

Pontida– Più di 4000 persone si sono radunate oggi pomeriggio a Pontida, nella giornata dell’orgoglio antirazzista organizzata dal centro sociale napoletano Insurgencia per ribadire i principi dell’antirazzismo e antileghismo proprio nel paese tanto caro al partito di Salvini. In un paese blindato dall’ordinanza del sindaco, sul palco si sono susseguiti numerosi artisti, la cui musica è stata inframmezzata da diversi interventi al microfono, tutti incentrati sulla condanna di ogni forma di razzismo.

Il partito di Bossi e Salvini è stato oggi al centro di ogni discorso politico. Per analizzare ciò che davvero rappresenta la Lega vanno distinti due piani che non sempre coincidono: quello discorsivo e quello della gestione del potere. La Lega si è contraddistinta per un linguaggio aggressivo il cui bersaglio è stato modificato col tempo: agli inizi degli anni ’90 ci si scagliava contro i terroni e Roma ladrona, poi contro gli albanesi che approdavano sulle coste della Puglia, i rumeni, gli extracomunitari, i clandestini per arrivare agli odierni “finti profughi”, senza mai dimenticare gli odiati zingari; nemici accomunati da una caratteristica comune: quella di essere economicamente fragili ed essere stati costretti a muoversi per aspirare a condizioni migliori. La narrazione prendeva forza sullo sfondo della costruzione di un mito chiamato Padania, la terra di una popolazione laboriosa di origine celtica che deve costruire il proprio futuro accompagnata dai rituali costruiti ad hoc: l’ampolla con l’acqua del Po, i raduni di Pontida e Ponte di Legno, il sole della Padania…

Sul piano discorsivo, non sono mancate delle trasformazioni radicali nei discorsi dei leader padani: da Bossi che minaccia di andare a prendere uno per uno sotto casa i fascisti, alle attuali sfilate di Salvini con Casa Pound; dal mito della Padania al tentativo di accreditarsi su tutto il territorio nazionale (si pensi ai comizi di Salvini nelle città del centro e del sud).

Intanto, negli anni, “Roma ladrona” è diventata la base dei ministri leghisti, che nell’ultimo ventennio di poltrone ne hanno occupate parecchie: padroni non solo a casa nostra, verrebbe da dire ribaltando un famoso slogan leghista. Inoltre, proprio i ministri leghisti (come Maroni) non hanno esitato a manganellare chi voleva essere “padrone a casa propria”, opponendosi al TAV in Valsusa.

Queste sono solo alcune delle più evidenti contraddizioni di un partito che nel frattempo, nonostante le trasformazioni della sua propaganda, ha saputo mantenere un consistente elettorato ed è oggi il partito più longevo del panorama politico italiano.

Verrebbe da chiedersi cosa ha saputo mantenere intatto il progetto della Lega. Se le parole sono cambiate, è interessante individuare quali sono state le costanti: la Lega si è accreditata come forza di governo, prima a livello locale, per poi ottenere incarichi a tutti i livelli governativo, dalle Regioni, al Governo nazionale, fino al Parlamento europeo.
Al potere la Lega si è dimostrata meno intransigente rispetto ai propri proclami: in Lombardia ha governato con assessori arrestati per aver comprato i voti della ‘Ndrangheta. L’alleanza col movimento di Comunione e liberazione si è dimostrata salda e fruttuosa e le nomine nella sanità ne sono la dimostrazione più lampante. Quando i comitati ambientalisti si sono battuti contro la discarica di Cappella Cantone, denunciando le infiltrazioni mafiose nella ditta Locatelli, l’assessore Belotti non ha esitato nel querelare i comitati. Con il ministro Maroni agli Interni i fondi per l’accoglienza profughi ammontavano a 46 euro al giorno e non a 35 euro, nonostante il “mantra leghista” sugli hotel a 5 stelle “occupati” da profughi. Anche a livello locale, poi, le pratiche discriminatorie di alcuni sindaci del partito nei confronti dei migranti si sono rivelate carta straccia: sono servite soltanto a sperperare denaro pubblico in cause legali sistematicamente perse.

Certo è che nessuno è in grado di fermare fenomeni migratori ed è noto che non possono esistere frontiere impermeabili. E su questo non decide Savini né qualunque altro leader di partito: Schengen è frutto di un’Europa concepita come una fortezza, varcabile solo da chi è disposto ad avere meno diritti. Un meccanismo che ha una conseguenza semplice: così i poveri “autoctoni” (italiani, greci, spagnoli o di qualunque altro paese) avranno dei poveri non europei con cui sbranarsi per le briciole di una torta che altri si mangiano. I penultimi, convinti che i loro problemi derivino dagli ultimi, non si renderanno conto che i responsabili della situazione di indigenza non vanno cercati tra chi scappa da guerra e fame, ma tra coloro che strumentalizzano una situazione sociale complessa, per racimolare qualche consenso in più.

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