Quello che Areté non dice: intervista al lavoratore licenziato

TORRE BOLDONE – Tutto comincia nel 2014: Dario neo assunto presso la cooperativa con il ruolo di operaio agricolo, si trova di fronte una situazione di emergenza. Le grandinate del 2014 e la scarsa attenzione alla parte di produzione da parte del CDA richiedono un intervento straordinario, per riportare il terreno di Areté a una resa (il rapporto tra il seminato ed il raccolto) accettabile.

“Areté si occupa di attività di coltivazione diretta, inserimenti lavorativi di persone svantaggiate e commercializzazione di prodotti biologici” così comincia Dario Teani, ex operaio agricolo ora licenziato, nel ricostruire i suoi 3 anni come socio dipendente di Areté, una delle maggiori cooperative sociali con un attivo patrimoniale di circa un milione di euro.

Che qualcosa di poco normale stesse accadendo all’interno di Areté fu chiaro fin da subito – dichiara Dario – libretti di manutenzione non aggiornati per il muletto, inserimenti lavorativi senza preventive protezioni individuali e una sensazione di abbandono rispetto ad altre attività della cooperativa, da parte di chi la cooperativa la comandava”.

Ogni richiesta da parte dei lavoratori cadeva nel vuoto, prima verbalmente, poi per iscritto alle assemblee dei soci, nessuna risposta da parte della dirigenza. Al punto che a un gruppo di lavoratori incomincia a venire il dubbio che il reale business di Areté vada ricercato nella commercializzazione di terzi e nelle sovvenzioni delle fondazioni bancarie. Infatti nel 2015 Areté richiede alla fondazione Cariplo 100.000 euro a fondo perduto.

Le difficoltà però non riguardano soltanto la resa del terreno in via Imotorre a Torre Boldone, ci sono anche evidenti problemi di sicurezza sul lavoro. Dopo molteplici segnalazioni e nessuna risposta, Dario decide di candidarsi Responsabile Lavoratori per la Sicurezza e vince l’elezione con 14 voti a favore e nessuno contrario. Il CDA però non accetta la nomina e pochi giorni dopo provvede ad escluderlo da socio e di fatto quindi, licenziarlo.

Il licenziamento però è di natura disciplinare, non riguarda quindi questioni economiche bensì il comportamento di Dario fuori dall’orario di lavoro. A nulla è servito il tentativo di ricomporre il rapporto da parte del sindacato di Dario: su Bergamopost la CGIL dichiara di aver tentato tutte le strade possibili per far tornare sui propri passi Paolo Catini, ex sindacalista anch’esso della CGIL ed ex dirigente scolastico, ora amministratore delegato di Areté. Nulla da fare.

A chiedere spiegazioni ad Areté ci sono però anche i clienti: nessuna riposta da parte della cooperativa, anzi sulla pagina Facebook vengono cancellati i commenti più piccati scritti da alcuni utenti.

“Le cause dell’abbandono da parte di alcuni lavoratori sono da ricercare nel rapporto di amicizia tra Dario e gli altri che sono andati via” questa la dichiarazione di Catini rilasciata a BGREPORT. Quindi se si trattasse di una situazione individuale oppure di un problema collettivo interno ad Areté, Catini precisa “che il gruppo di persona della campagna e la direttrice Agronoma hanno commesso parecchi errori andando in ferie quando volevano”. Nel frattempo però Catini viene smentito dalle sue stesse dichiarazioni: quest’oggi è stata recapitata una lettera all’ultimo lavoratore agricolo rimasto, dove gli si intima di stare in ferie forzate altrimenti non sarebbe stata concessa la Cassa Integrazione per la sua posizione.

La situazione sembra parecchio confusa dalle parti di Areté: da un lato si dice che è colpa di Dario e dei suoi amici colleghi se la campagna non funziona, dall’altro non vengono fatti investimenti e nuove assunzioni rispetto al settore agricolo. Anzi la prospettiva è il pagamento degli stipendi da parte dell’INPS. Nel frattempo compaiono foto delle serre coltivate, anche se in realtà fanno notare su Facebook che le immagini caricate sono sempre le stesse prese da angolazioni diverse.

A mettere ulteriori dubbi sono le dichiarazioni che riguardano le fruizioni delle ferie da parte dei lavoratori e Catini sostiene: “Hanno usato le ferie quando volevano”. Come redazione di BGREPORT abbiamo potuto visionare ordini di servizio da parte di Catini, dove si riconduce la possibilità di usufruire delle ferie dopo esclusiva autorizzazione e a discrezionalità del CDA. Catini mostra tanta confusione oppure più semplicemente un’estrema capacità di destreggiarsi tra le parole facendo ricadere le responsabilità sui lavoratori. Con buona pace delle famiglie di chi è rimasto senza lavoro.

 

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