Richiedenti asilo: “Bergamo attiva e ospitale” ?

Bergamo– Anche Bergamo ha festeggiato la Giornata mondiale del rifugiato, il 20 giugno: con l’hashtag #WithRefugees, lanciato dall’UNHCR, l’iniziativa di mercoledì ha concluso un festival più ampio, iniziato il 10 Giugno con l’happening delle cooperative al Lazzaretto. Secondo le parole dell’assessora Marchesi, obiettivo della manifestazione era mostrare le ragioni delle tante persone che nel mondo sono costrette a lasciare il proprio Paese e sensibilizzare la società sul contributo positivo dei migranti. Non è mancato l’ intervento del sindaco Giorgio Gori, che ha ribadito che “Bergamo va avanti così, attiva e ospitale”. Ma è davvero così? Di quale tipo di ospitalità si sta vantando il sindaco?

Bergamo, infatti (che accoglie 2230 richiedenti asilo in tutta la provincia, di cui 519 in città), è stata una delle prime città italiane ad applicare, con circolare della Prefettura del 2 settembre 2016, la nuova normativa che impone di espellere dai progetti di accoglienza i richiedenti asilo dopo il secondo diniego. In sostanza, nonostante la possibilità- garantita dalla legge- di tentare un terzo ricorso, il richiedente perde in automatico il diritto all’accoglienza dopo il secondo diniego e si ritrova dunque senza vitto, alloggio e assistenza legale, anche se la sua richiesta di asilo continua il suo iter legale.

L’applicazione così rigida della norma, a differenza di quanto accade in altre città, ha come obiettivo la disincentivazione del ricorso dopo il secondo diniego: non molti richiedenti, infatti, dopo aver perso il diritto all’accoglienza, proseguono l’iter legislativo con un terzo ricorso. Ma questo pugno di ferro della Prefettura avrà anche una seconda conseguenza: molte più persone in situazioni di marginalità; infatti, senza vitto e alloggio garantiti dal programma di accoglienza, da un giorno all’altro i richiedenti asilo si trovano in mezzo ad una strada, senza documenti.

Certo, non è il sindaco o la giunta a decidere su questi provvedimenti, ma la Prefettura. E’ innegabile, però, che il ruolo di Gori gli consentirebbe almeno di prendere una posizione netta sulla linea politica di via Noli, intercedendo per una più blanda applicazione della norma. Inoltre, il sindaco non mostra molta lungimiranza: se, come confermano i dati, la commissione territoriale di Bergamo e Brescia ha uno dei tassi più elevati di respingimento delle richieste di asilo (l’87% nel 2016, a fronte di una media nazionale del 60%, secondo il Ministero dell’interno), è lecito ritenere che un sempre maggiore numero di persone si troverà senza accoglienza e dunque in situazioni di marginalità; soprattutto in vista dell’inverno, questa situazione necessita di soluzioni da parte della giunta comunale: un aumento delle strutture di accoglienza per senza tetto, per esempio, e un rinforzo dei servizi pubblici rivolti alle persone in situazione di grave marginalità. Pare però che, nonostante i proclami, non sia questa una priorità della giunta.

Inoltre, anche per chi non è ancora giunto al secondo diniego, l’accoglienza a Bergamo riserva sorprese amare: in diversi casi, le proteste per le condizioni di vita nella struttura e per l’isolamento totale sono valse ai richiedenti asilo l’espulsione dal progetto di accoglienza. Per non parlare poi delle effettive condizioni di vita dei richiedenti asilo nei due anni che ci vogliono per avere una risposta dalla commissione territoriale: nessuna autonomia, nessun lavoro possibile per guadagnarsi dei soldi, ma solo del volontariato per farsi “ben volere” dalla popolazione locale.

In effetti, l’idea che il sindaco (e la città di Bergamo) ha di accoglienza è ben espressa dalle affermazioni rilasciate già due anni fa, sempre alla giornata del Rifugiato: non più un diritto garantito dalle convenzioni internazionali, a cui si accede di default in virtù della propria condizione di partenza, ma un’opportunità vincolata ad alcuni “doveri” dei migranti stessi, come imparare la lingua ed un lavoro e continuare a fare volontariato con attività poco o non pagate, per mostrare alla gente la propria “buona volontà” di integrarsi.

D’altra parte, è evidente che in campagna elettorale alcune posizioni non siano particolarmente proficue, anzi: se ne deve essere accorto anche Giorgio Gori, che di certo ha pagato in termini di consenso alle elezioni regionali la sua vicinanza a questi temi; probabilmente per rimediare, allora, ha affermato alla Fiera del Libro di Bergamo, qualche mese fa, che servono nuovi criteri per l’assegnazione delle case popolari, perché troppe sono assegnate a migranti e la situazioni viene vista dagli italiani come “sottrazione di diritti”. Insomma, una decisa virata a destra che nulla ha da invidiare al discorso leghista.

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