Storie di ordinaria crisi: lavoratori e cassa integrazione.

#machetilamenti
“Cari lettori, Cara redazione, dopo diversi mesi di mobilità sprecata nell’attesa di qualche inserzione propizia sui giornali locali, vengo a conoscenza di un canale sulla rete web per iscriversi gratuitamente, nella speranza che il profilo tracciato (il curriculum, in sostanza) sia ritenuto interessante da parte di qualche agenzia interinale per poter essere proposto alla ditte che richiedono manodopera in condizione precaria. Quando capisco che lo scambio dei miei dati tra un’agenzia e l’altra è diventato cosa d’ordinaria amministrazione, e quindi mi tocca ricevere telefonate da quasi tutta la provincia e fuori, come nel caso di un’agenzia di Inzago che mi contattò per un lavoro a Dalmine (sig!), voltandomi indietro le maniche mi rassegno a questo nella speranza di poter valutare e confrontare delle proposte in base a dei miei parametri e alla necessità che, a lungo andare, può portare a situazioni degradanti. Avendo meno di quarant’anni di età, il mio periodo di mobilità, pagato mensilmente sui 930 euro, può durare massimo un anno, dopodiché avrei diritto a 8 mesi di disoccupazione, i primi 6 pagati all’80% della mobilità, e i restanti due il 60%.

Un bel giorno vengo contattato dall’agenzia Obiettivo Lavoro di via Quarenghi, che mi propone un contratto a tempo determinato, da concordare, con la ditta Carpenterie Meccaniche Ranica della zona di Cassinone a Seriate.

Accetto e mi presento al colloquio, fissato per una mattina di sabato. Solite domande e risposte come da prassi, curriculum alla mano e poi giro panoramico all’interno dei capannoni. Niente di che, lavorazioni di una certa mole come immaginavo: è una carpenteria.. Tante belle parole sull’elevata quantità di ore straordinarie che ogni lavoratore, a detta loro, è tenuto a fare per mantenere alto il livello di produttività della ditta; “Siamo in un periodo di crisi” e, come mi hanno detto, “bisogna adattarsi” anche perché “chi lavora bene viene pagato bene, non abbiamo problemi su questo” e “l’importante è saper subito che qui si lavora così”. Ma così come? Dopo tanta premessa, non vedo però nessun operaio al lavoro e, alla mia specifica richiesta su quante persone fossero i dipendenti, mi è stato risposto in modo vago, non preciso “prima della crisi di qualche anno fa eravamo in 25, ora è calato un po’ il lavoro e di conseguenza qualche operaio in meno, qualcuno è andato in pensione, altri se ne sono andati”. Però non mi hanno quantificato in quanti esattamente fossero. Sembrava avessero qualcosa da nascondermi.

Non avendo mai lavorato con un contratto interinale, decido di telefonare al sindacalista che seguiva la ditta dove ero prima, per delle delucidazioni in riguardo. Quando gli ho fatto il nome della ditta che mi avrebbe assunto, ha capito immediatamente e mi ha informato della loro situazione di cassa integrazione aperta. Ma non possono assumere se sono in cassa, neanche per tempo determinato!

Telefono all’agenzia e vedo di farmi spiegare la cosa, ma con un fare “non chiaro” si giustificano dicendomi che loro non ne erano a conoscenza, che non può essere vero e che “se anche lo fosse, magari riguarda solamente un reparto..” Per convincermi di tutto ciò mi dicono pure che l’Agenzia ha “lo sportello per verificare le casse integrazioni e che a loro non risultava certamente, anzi..”

Decido d’andar a provare lo stesso qualche giorno, anche perché ho bisogno di un lavoro.

Appena arrivato in ditta sono tutti gli operai stessi, cinque persone (uno o due erano in cassa quindi pagati dall’INPS), a venir da me a chiedermi cosa facessi li e che tipo di contratto avessi stipulato o se fossi “in nero”. Rispondo che sono con un contratto di una settimana, pagato dall’agenzia, per una prova con scopo eventuale assunzione. “Ma quale assunzione!” fanno loro “siamo in cassa integrazione e non ci hanno pagato ancora gli ultimi due stipendi!” Ma come? E le straordinarie? “Ormai non facciamo più neanche un minuto extra, non ci viene pagato, è già bello che veniamo ancora al lavoro!” Cavolo che situazione mi son trovato, dalla padella alla brace!

Vabbè, cosa ci posso fare? Sperando che mi vengano pagate le ore dall’agenzia (il 15 del mese successivo, come concordato) valuto la situazione e scelgo di lavorarci almeno qualche giorno, tanto per sfruttare la situazione di riprendere il ritmo lavorativo, cosa ormai persa da troppo tempo. Anche perché sono in aspettativa di un colloquio per una grande azienda importante, più sicura e, almeno, onesta…

Al secondo giorno mi risulta chiaro perché sono stato assunto, sostituire i lavoratori mancanti o dimessi perché non percepivano lo stipendio. Decido. Mollo la spugna. Preparo le dimissioni e la mattina seguente, con un sospiro di sollievo, mi dirigo verso l’agenzia per recedere il contratto. Dopo aver spiegato le mie ferme motivazioni ed aver sentito ancora risposte del tipo “non ne sapevamo nulla”, “non potevamo saperlo”, “ci dispiace”, “è la prima volta che lavoriamo per questa ditta, buono a sapersi che interrompiamo subito i rapporti con loro”, mi dicono di passare nel pomeriggio per scrivere e firmare di pugno una dichiarazione di non costrizione di dimissioni, come volle la buona ex Ministra Fornero.. Quando son tornato, intanto che scrivevo le tre righe copiandole da un prospetto prestatomi dall’agenzia, il tutto assai ridicolo e poco dignitoso, (come se questo fosse salvaguardia di diritti!) con l’orecchio bisbigliavo una telefonata di un agente del lavoro (lo stesso che mi assunse) il quale proponeva ad un’altra persona il mio stesso lavoro in quella carpenteria, incurante, per non dire accondiscendente, di tutto quello che ho riscontrato e gli ho riferito!

Quello che ci racconta il nostro lettore non è qualcosa di nuovo nella Bergamo della crisi economica. Facciamo un po di chiarezza su alcuni passaggi.

L’INPS nasce come istituto di previdenza durante il fascismo e arriva ai giorni nostri come “primo attore” dello Stato Sociale. Lo stato italiano per tramite dell’INPS si assume l’onere di provvedere a particolari condizioni di svantaggio dei lavoratori.

Nel dopoguerra in Europa come contraltare ai disequilibri del Capitalismo si sviluppa l’intenzione dei governi di sostenere il cittadino in difficoltà, in italia tutto lo stato sociale si sviluppa attorno al lavoratore, creando nel 2013 parecchie situazioni di paradosso. Ad oggi in Italia un lavoratore ha diritto ad un assegno per il numero di figli a carico solo se ha un lavoro di tipo “classico”. In Germania per contro l’assegno per i figli è dovuto al di la del lavoro svolto e soprattutto è slegato dalla condizione di occupazione. In Italia si sviluppa il Workfare; nel capitalismo continentale si sviluppa -a varie tinte di tutela- il welfare.

Negli anni recenti l’INPS diventa un azienda compartecipata da privati, diventando tra gli altri proprietario della metà di equitalia assieme all’agenzia delle entrate.

Cos’è quindi l’INPS? Come funziona? Cosa c’e di strano nella situazione del nostro lettore?

L’istituto di previdenza provvede ad erogare una serie di prestazioni di sostegno al reddito e di tipo previdenziale: indennità di malattia, di maternità, di disoccupazione, di mobilità, gli assegni familiari e la cassa integrazione guadagni oltre che la pensione da lavoro.

La base su cui si regge l’istituto nazionale di previdenza è il medesimo delle assicurazioni di tipo automobilistico. La generalità dei contributi alimenta dei “cassetti”. Al verificarsi di un particolare evento l’INPS apre il cassetto e corrisponde al lavoratore una somma di denaro a titolo di indennità. Sia essa per gli assegni per la maternità, per la disoccupazione oppure per la cassa integrazione.

Il principio è di tipo mutualistico. Molti contribuenti versano per far fronte ad una particolare condizione di svantaggio del singolo lavoratore. L’INPS quindi si occupa sempre di lavoratori, tranne in un caso.Il caso è quello della cassa integrazione guadagni dove l’INPS interviene in aiuto delle aziende in crisi corrispondendo lo stipendio con i fondi accumulati dalla generalità dei contributi. Lo stato sociale all’inverso. I lavoratori tutti provvedono a mettere una pezza alle difficoltà dell’azienda. I criteri che accordano lo stato di crisi dell’azienda sono molto larghi, non vengono presi a parametro i bilanci, ne la liquidità dell’azienda; Non viene presentato un piano aziendale. Non si considerano le riserve monetarie dell’azienda Insomma, la Cassa c’è usiamola finche possiamo. Un atteggiamento di tipo predatorio da parte di molti imprenditori.

Viene posto un unico divieto di carattere morale(quindi non sanzionabile): qualora l’azienda usufruisca della Cassa Integrazione non dovrebbe assumere altri lavoratori. Il senso è chiaro, seppur questo non rappresenti un vero e proprio divieto.

Con così poche regole ci si trova così di fronti a reali paradossi dell’Italietta. Azienda leader del settore automobilistico (Brembo Spa) che chiede ed ottiene la cassa integrazione nell’anno di boom di fatturato. Queste situazioni non sono casi isolati, può capitare invece che l’azienda alterni periodi di cassa integrazione con periodi di straordinari. Un mese cassa un mese straordinari. Il principio è semplice: scaricare i costi sulla collettività e massimizzare il profitto per l’azienda. E a farsene carico siamo tutti noi.

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