Bergamo – Costi lievitati del 47% rispetto all’importo contrattuale, fino ad arrivare a 927 milioni di euro: la Pedemontana è sotto l’occhio dell’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), che accusa la società di avere falsato la gara. Al momento, l’inchiesta è aperta solo per il tratto A della Pedemontana, che collega Como a Varese e coinvolge la società Impregilo (la stessa coinvolta nella costruzione del TAV). Le ripercussioni però si avranno anche sui tratti in progettazione, fra cui la tratta D che termina in territorio bergamasco.
Aveva già fatto scalpore la notizia di mercoledì scorso, quando la giunta di Osio Sotto aveva deliberato un secco “no” alla catramizzione del proprio territorio. La Pedemontana sembra sempre più mal voluta e mal accettata: da anni il comitato “NO Pedemontana” protesta contro la sua apertura. Eppure di fronte a queste molteplici resistenze, di fronte agli scandali sorti negli ultimi anni, di fronte a questa ultima inchiesta giudiziaria, c’è chi la Pedemontana la vuole, anche a Bergamo. Chi è? Chi sono i poteri forti? Chi c’è dietro la “Pedemontana orobica”?
La Pedemontana Lombardia S.p.A. è controllata per quasi l’80% da Milano Serravalle S.p.A., società che da anni è al centro delle inchieste giudiziarie, a partire dal 2013, quando cioè la procura della Corte dei Conti chiese un danno erariale da 118 milioni euro a Filippo Penati (PD), all’epoca numero uno di palazzo Isimbardi, per l’acquisto da parte della Provincia di Milano del pacchetto azionario della Milano-Serravalle detenuto dal Gruppo Gavio e pagato (questa è l’ipotesi) un prezzo ritenuto sproporzionato rispetto al reale valore. Nel 2014 esplode un nuovo scandalo: Guido Podestà (PDL), succeduto a Penati, e Marzio Agnoloni (l’a.d.) hanno raddoppiato l’organico della società cooptando parenti, colleghi di studio e compagni di partito. Assunzioni e consulenze s’impennano (tanto da far aprire un’indagine alla Corte dei conti), mentre la società rischia di dover bloccare i lavori e lasciare l’autostrada incompiuta, alimentando la paura di migliaia di licenziamenti. A Gennaio 2015 esplode nuovamente il caos in Serravalle: il vecchio direttivo viene esautorato con pesanti accuse che le sono state mosse dai nuovi vertici. In particolare, sono state contestate molte spese fatte durante il periodo in cui era direttore generale: dai viaggi, all’uso dei telefoni alle consulenze autorizzate.
Se Serravalle controlla l’80% di Pedemontana, quasi tutto del restante 20% è controllato da Intesa San Paolo e Ubi Banca. È un mercoledì mattina di un giorno di Maggio 2014, quando la Guardia di Finanza fa irruzione nella sede di Ubi Banca, a Bergamo, e negli uffici del banchiere e del presidente di Italcementi, Giampiero Pesenti. A inviare le Fiamme Gialle la Procura di Bergamo, che ha aperto un’inchiesta per ostacolo alle funzioni di vigilanza ed altri reati. A pilotare le nomine, secondo la procura, sarebbe Giovanni Bazoli presidente dell’altra banca, Intesa San Paolo. Pesenti, storico azionista di Ubi, è invece indagato per truffa e riciclaggio che riguardano una compravendita anomala di beni di lusso da parte di Ubi-leasing. Non solo, in Italmobiliare del gruppo Pesenti è custodita anche una piccola quota del gruppo Mittel, Holding di cui è stato a lungo presidente Bazoli. Inutile inoltre ricordare che Italcementi è presente nei cantieri della Pedemontana lombarda.
Non bisogna inoltre dimenticare che nell’azionariato di Ubi figurano praticamente tutti gli imprenditori che contano in bergamasca: Gnutti, Bombassei, Foppa Pederetti, Locatelli… E c’è anche, con l’1,35%, la Diocesi di Bergamo che controlla con l’83,9% di quello che è un altro indiscutibile salotto buono provinciale, la Sesaab. La società editrice dell’Eco di Bergamo, della quale è stato consigliere anche il presidente in pectore della Banca Popolare di Bergamo Giorgio Frigeri, vede a sua volta tra i suoi soci di minoranza alcuni tra i principali gruppi imprenditoriali, dall’Italmobiliare (famiglia Pesenti) che controlla l’Italcementi (7%), alla Radicifin Sapa, degli eredi di Gianni Radici, ai quali fa capo il Radici Group presieduto da Angelo Radici (neo consigliere della Popolare Bergamo ). E ancora la Diocesi è prima azionista con il 25% di una finanziaria, la 035 Investimenti Spa, costituita nell’aprile 2012, con presidente Lorenzo Renato Guerini, consigliere di sorveglianza di Ubi e vicepresidente di Italcementi. Lo scopo di questa holding, con capitale deliberato di 10 milioni, è quello di investire in piccole imprese. Il Cda di questa finanziaria rispecchia un azionariato che comprende alcuni tra i principali imprenditori locali: due consiglieri Creberg come Giacomo Gnutti (della Franco Gnutti Holding) e Paolo Longhi (a capo del gruppo metalmeccanico di Pedrengo), Ferruccio Locatelli con interessi nel campo immobiliare e nell’energia, nonché Massimo Cincera, consigliere delegato Sesaab, l’economo della Curia don Lucio Carminati, il fondatore della Gewiss, Domenico Bosatelli, il già citato Angelo Radici e Bernardo Sestini della Siad.
Questo è un capitalismo di relazione in cui si fanno affari e si decide dove, come e quando muovere i soldi. E’ un capitalismo di salotti, in cui sono sempre gli stessi che si incrociano, che si stringono la mano, che fanno accordi. La qualità degli accordi è visibile a tutti: accordi opachi, che si prendono in stanze altre, da cui la collettività è evidentemente esclusa. Le conseguenze di tali decisioni però ricadono su tutti e tutti le paghiamo. Chi ci fa la cresta sono quelli nei salotti.