Bergamo – Era previsto per mercoledì nel primo pomeriggio, lo sgombero di ben quattro famiglie che da circa un anno occupano alcuni appartamenti nelle case di Viale Venezia 26. Le (non)soluzioni da parte del comune di Bergamo e dell’assistenza sociale si confermano “la solita solfa”, che accompagna sempre questo genere di situazioni: donne e bambini relegati in comunità o case-famiglia, i padri lasciati a loro stessi. Una di queste famiglie, per esempio, si ritrova a carico un figlio di pochi anni che a breve dovrà subire un intervento chirurgico di routine, per il quale avrà bisogno di alcune settimane di riposo: appare evidente, dunque, che uno sgombero non è plausibile in una situazione del genere, tanto delicata e controversa, in particolare dal momento che, per chi occupa abusivamente un immobile del comune, ormai è impossibile ottenere l’assegnazione di un alloggio popolare per un lungo periodo di tempo.
Sebbene non identiche, esistono simili situazioni a Bergamo e in generale nell’intera provincia, dove si contano diverse centinaia di persone che rischiano la stessa sorte: l’emergenza casa, nonostante le parole contrarie dell’assessore all’edilizia pubblica e privata Valesini, nella città è reale e presente, con moltissime famiglie che ancora stanno aspettando l’assegnazione di una casa popolare, pur avendo tutti i requisiti necessari per ottenerla. Inoltre moltissime famiglie nella bergamasca hanno subìto pignoramenti residenziali ad opera di banche private, raddoppiati negli ultimi cinque anni, mentre altre ancora vengono con sempre più frequenza sfrattate. Nemmeno la convenzione ALER-comune, ormai in atto da più di un anno, è riuscita a risolvere la situazione.
Non si può dunque negare l’effettiva esistenza di un problema abitativo nella bergamasca, né tantomeno quello relativo alla gestione di situazioni-limite, come quella in cui si trovano le famiglie di viale Venezia da parte del comune: i nuclei familiari vengono quasi sempre spaccati, divisi per le decisioni degli assistenti sociali, che operano in base alle ordinanze di questura e comune. Al posto di cercare una reale soluzione per questi individui, ci si limita a fornire loro dei palliativi che per ovvi motivi non possono perdurare nel tempo: comunità o casa famiglia, e solo per qualche settimana, o per qualche mese quando si è fortunati. Poi la prassi richiede che chi viene ospitato in questo tipo di strutture trovi presto una fonte di reddito: cosa alquanto difficile, considerata la crisi incombente, la costante precarietà dei lavori che eventualmente si possono trovare e la totale assenza (o la ridicola presenza) delle istituzioni riguardo questi problemi.
Nel prossimo periodo sarà dunque avviata probabilmente la procedura di sgombero con le forze dell’ordine, lasciando di fatto le famiglie interessate in una situazione incerta, senza poter sapere nulla di sicuro riguardo il loro futuro.