Bergamo – “Nella Giornata internazionale per l’aborto libero, sicuro e gratuito, torniamo in piazza per difendere un diritto acquisito ma messo gravemente a rischio dall’alto tasso di obiezione di coscienza”. Inizia così il comunicato di Non Una Di Meno di Bergamo che ha dato vita davanti al palazzo della Regione Lombardia una protesta partecipata, con una richiesta precisa: la regolamentazione dell’obiezione di coscienza nel decreto legge 194/78.
Un centinaio di donne, uomini e attivisti del movimento ma la mobilitazione non ha coinvolto solo la nostra città: decine di presidi in tutta Italia e centinaia nel mondo hanno portato avanti una mobilitazione internazionale per il diritto all’aborto.
Per quanto riguarda Bergamo e provincia i dati parlano chiaramente: il tasso di obiezione di coscienza è alto, a tal punto da impedire di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg). All’ospedale Papa Giovanni il 92% dei medici è obiettore, a quelli di Seriate, Treviglio e Alzano Lombardo circa il 70%, mentre in altri ospedali l’interruzione di gravidanza non viene esercitata. Difficile, se non a volte impossibile, per una donna abortire.
Nella nostra regione la situazione non è delle migliori: il 35% degli ospedali della non praticano l’IVG, il tasso di obiezione è al 68,2% nelle strutture pubbliche, e 337 i consultori in meno a quelli previsti dalla legge 34/96 secondo cui dovrebbero essere uno ogni 20mila abitanti.
La situazione a livello nazionale non è tanto diversa e per questo Non Una Di Meno ha chiamato a livello nazionale una mobilitazione: per risolvere il problema c’è bisogno una regolamentazione che impedisca percentuali di medici obiettori tanto alte nelle strutture sanitarie pubbliche, che oggi non garantisce la continuità assistenziale per le donne che ne fanno richiesta.
Le richieste della rete nazionale, però, non si fermano qui: si chiede la possibilità di usuruire dell’aborto farmacologico fino al 63° giorno di gravidanza (ad ora è possibile solo fino al 49°); la possibilità di sottoporvisi anche nei consultori; l’allontanamento dei Centri di aiuto alla vita dagli ospedali e controlli adeguati al loro interno per evitare i soprusi psicologici a cui le donne che decidono di abortire vanno spesso incontro.
“Vogliamo contraccezione gratuita, educazione sessuale, consultori che siano luoghi aperti e spazi delle donne per le donne con bisogni e desideri propri – scrivono le attiviste di Bergamo – Denunciamo l’ipocrisia del governo italiano che, da un lato organizza il fertility day e istituisce il dipartimento mamme, e dall’altro, tagliando lo stato sociale e precarizzando il lavoro, crea le condizioni per un aborto dettato da necessità di sopravvivenza e non da una libera scelta”.