Romano di Lombardia – Dante è sempre stato un musicista, suona il piano da quando era bambino e poi da grande s’è innamorato del jazz. Emmanuel non ha mai smesso di ascoltare e scrivere rap, tutto in inglese, la sua lingua madre. Lo stesso fa Joseph ma lui è domenicano. Bobby ha lavorato come dj e cantante in Nigeria e in Italia voleva trovare il modo di cantare. Come Asti che ha una grande esperienza nel canto, molta maturata in Albania. Anche Clodian è albanese ma lui suona la batteria. Poi ci sono Roby alla chitarra e al cuore rock, Zackaria alle percussioni, la giovane Daniela e Mamma Vale, Luigi al basso, Paola e tutta la passione della musica sarda, Teo e il folk bergamasco, Alberto, Livio e Cludo musicisti con grande esperienza e i ritmi incalzanti di Kashmir.
Potrebbero essere tutte storie separate e invece stiamo parlando dello stesso progetto e dello stesso luogo: sono i Rainbowjam e vengono tutti dalla Bassa bergamasca. Perché è qui che si sono incontrati, è qui che hanno cominciato a pensare di lavorare insieme ed è qui che hanno iniziato a provare le loro prime canzoni.
“E’ partito tutto come un’accozzaglia di suono, senza un vero punto di riferimento o arrivo: ci siamo resi conto che l’unico modo per far funzionare questa cosa (e renderla un motore che gira) era quello di proporre delle canzoni e poi riarrangiarle” spiega Francesco “Puccio” Puccianti, direttore artistico del progetto Rainbowjam.
Così iniziano a suonare Bob Marley, la canzone napoletana e quella sarda, Rino Gaetano e i grandi classici del blues e alla fine si arriva al punto: per far funzionare tutto è necessario “contaminarsi” con idee, esperienze musicali, con le proprie esperienze di vita e le proprie storie. “In questi due anni di lavoro, prove e preparazione abbiamo costruito un repertorio che ha come filo conduttore proprio la contaminazione, nel miglior senso della parola – continua a spiegare Puccio – Ogni pezzo ora ha il nostro stile, lo stile Rainbowjam: lo abbiamo chiamato “etnoraggae”. Ritmiche tra l’afro e giamaicano, con una base armonica più occidentale e con colori che vengono in realtà da tutto il mondo”.
Il direttore artistico questo piccolo sogno l’ha sempre avuto: guardando alla Bassa bergamasca e a tutte le persone che la popolano, Puccio immaginava un’orchestra multietnica, come quella di Piazza Vittorio a Roma. “Un giorno scherzando incontro Chiara (una delle organizzatrici della Festa della musica di Romano di Lombardia ndr) che mi dice che nel centro d’accoglienza di Romano ci sono dei ragazzi che suonano. Così abbiamo iniziato a suonare insieme. Poi abbiamo visto che comunque c’era qualcosa in più e abbiamo cominciato a ragionare con tante realtà del territorio, per capire se si poteva fare qualcosa tra musica e integrazione, con un target preciso. Alla fine abbiamo deciso di dar vita a un progetto musicale e sociale a tutti gli effetti”.
Una band aperta, dove ognuno porta la sua esperienza e la condivide con gli altri componenti del gruppo, parlando tutti lo stesso linguaggio: quello della musica. Ecco quindi il repertorio di 20 canzoni: “Come dietro ogni musicista c’è una storia complessa che vuole essere raccontata, dietro a ogni canzone che abbiamo scelto c’è qualcosa che vuole essere cantato, suonato o ballato” continua Puccio.
Per ora Rainbowjam ha solo una canzone inedita: l’ha scritta Bobby e si intitola “I’ve got story”: racconta del suo viaggio verso l’Europa. Perché le storie dei componenti dei Rainbowjam non sono per nulla facili da raccontare e forse la musica aiuta in tutto questo. “Quello che vogliamo trasmettere, lo mettiamo nella nostra musica: la contaminazione è crescita e arricchimento. Quello che s’è creato nei Rainbowjam è un po’ diverso dal rapporto che c’è tra musicisti che suonano insieme: il nostro rapporto è di amicizia, anche se nessuno intacca la realtà dell’altro ma in qualche modo la contamina, mettendosi in gioco. C’è un’umanità di fondo che è funzionale al gruppo” spiega ancora Puccio.
Così dagli eventi (piccoli e grandi) della Bassa bergamasca si è arrivati a suonare anche nelle scuole della zona e poi finalmente anche in altre zone della provincia, fino ad arrivare ai concerti in Città Alta per il 25 aprile e per la giornata mondiale delle e dei rifugiati.
“La Bassa è un territorio difficile: il diverso viene sempre visto con diffidenza. Spesso ci si pone in modo sbagliato, senza neanche cercare un punto di contatto. Noi lo abbiamo trovato nella musica. Così tante persone diverse tra loro possono convivere tranquillamente, perché hanno un obiettivo comune. E’ quello che già succede nelle scuole e nelle squadre di calcio: si gioca e si cresce insieme, e così le diversità diventano una ricchezza” conclude Puccio.
E’ per questo che l’obiettivo dei Rainbowjam non è “solo” suonare ma anche mostrare concretamente che l’integrazione esiste e la si può toccare con mano. No, anzi: la si può ascoltare, cantare e ballare.