Intervista con Eliana Como, portavoce nazionale di Riconquistiamo Tutto, area di opposizione interna alla CGIL.
All’epidemia di Corona Virus le istituzioni hanno risposto con indicazioni contraddittorie, il sindacato che valutazioni sta facendo rispetto all’esigenza di tutelare la salute delle lavoratrici e dei lavoratori?
Per inquadrare la situazione in cui ci troviamo è doveroso fare prima di tutto una premessa. E’ chiaro che le nostre strutture sanitarie non sono in grado di sostenere un’epidemia che richiede un così alto tasso di ospedalizzazione, perché per decenni si è scelto di operare tagli alla sanità pubblica. Anche la ricchissima Lombardia ha privilegiato un modello spinto di privatizzazione della sanità e i privati hanno investito nei settori più remunerativi, non certo nei reparti di terapia intensiva. Persino la Lombardia non è in grado di reggere questa emergenza nonostante l’enorme sforzo del personale sanitario, immaginiamo cosa potrà succedere se l’emergenza si trasferisse in zone dell’Italia dove il sistema sanitario non è in grado di far fronte nemmeno alle necessità ordinarie del territorio.
In merito alle scelte delle istituzioni io non sono in grado di dire se siano giuste o meno, ma non posso non rilevare la loro estrema contraddittorietà. Se all’inizio si susseguivano gli appelli dei politici a non fermarsi e guai a sacrificare l’economia, come se il paradigma produttivo fossse indiscutibile, oggi ci dicono che dobbiamo stare tutti a casa, senza che questa indicazione valga per milioni di lavoratrici e lavoratori costretti a mettere a rischio la propria salute. Pensiamo a chi lavora nella grande distribuzione. Quali tutele sono state garantite al personale dei supermercati assaltati da chi ha voluto fare le scorte?
Altrettanto potrei dire per i lavoratori degli appalti delle sanificazioni e delle pulizie industriali, a cui si stanno chiedendo sforzi incredibili, spesso inquadrati con contratti precari e paghe vergognose, che sanificano gli impianti produttivi.
Io non avrò pace finché non resteranno a casa anche i milioni di lavoratori e di lavoratrici che nel nostro territorio lavorano in settori che non sono immediatamente necessari. E’ chiaro che la sanità, la grande distribuzione alimentare non possono fermarsi. A loro si garantiscano le misure di sicurezza, con un’attenta valutazione del rischio a cui sono sottoposti, tutti gli altri si devono fermare. Non è necessario continuare a produrre automobili in questo momento, ieri uno sciopero spontaneo alla Fiat di Pomigliano ha bloccato la produzione delle Panda. Alla faccia di qualsiasi regola o distanza imposta dalle esigenze di salute, in una catena di montaggio o in una mensa di una fabbrica è impossibile tutelare la propria incolumità.
Come si spiega il sindacato che, a differenza di Codogno e Vo’ Euganeo, il focolaio della media Val Seriana, in particolare i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, dopo annunci e smentite non sia stato isolato? Credi che le esigenze produttive delle aziende possano aver avuto una qualche influenza sulle decisioni della politica? Anche perchè i dati dimostrano l’efficacia dell’istituzioni delle zone rosse a Codogno e a Vò, mentre nella Provincia bergamasca il dilagare del virus ha assunto proporzioni allarmanti a livello mondiale.
Tutta la gestione di questa crisi ha messo davanti gli interessi delle imprese invece che la salute dei cittadini. Fermano il campionato di calcio ma non i posti di lavoro. Ci è arrivato anche Gori a sostenere che bisogna fermare tutto, a spese dei lavoratori e dei loro giorni di ferie, io non sono d’accordo che lo debbano pagare i lavoratori ma il sindaco di Bergamo sta puntando il dito su un tema vero: le fabbriche vanno chiuse. Mettano gli ammortizzatori sociali in modo da garantire non solo i lavoratori stabili ma anche quelli precari, che stanno rimanendo a casa senza un euro in moltissimi settori, nel turismo, nella ristorazione, nello spettaccolo. Chiamiamolo reddito di quarantena, chiamiamolo come vogliamo ma garantiamo un reddito per tutte e tutti. Non sono sufficienti gli strumenti ordinari? La situazione è straordinaria e straordinarie devono essere le misure economiche da mettere in atto.
Oltretutto con le scuole chiuse chi è obbligato ad andare al lavoro non sa come gestire i figli e quindi ci si deve appoggiare ad altre persone aumentando a dismisura i contatti, alla faccia dell’isolamento di cui tanto si parla. Il rischio di contagiare le generazioni più anziane in questo modo aumenta. Il nuovo decreto contempla la possibilità di muoversi per recuperare i figli da chi li sta accudendo, i lavoratori e le lavoratrici oltre a mettere a rischio se stessi diventano ulteriori portatori di contagio. Confindustria rivendica di aver contribuito a rendere più equilibrato il decreto del governo, per loro l’importante è che si continui a produrre.
Come ti spieghi il ruolo secondario che il sindacato ha avuto di fronte a questa crisi?
C’è un silenzio allarmante e una responsabilità grave, l’appello di tutte le parti sociali sottoscritto da CGIL,CISL e UIL di non fermare la produzione. I lavoratori stanno pagando un prezzo altissimo senza che nessuno chieda misure di sicurezza. L’unica richiesta è quella di ammortizzatori sociali. La richiesta di blocco della produzione è arrivata solo ieri con estremo ritardo dalle segreterie regionali della Lombardia, solo dopo seguito dalle segreterie nazionali. Noi lo stiamo rivendicando da giorni.
Le Camere del lavoro stanno facendo uno sforzo incredibile per tenere aperto e dare informazioni ai delegati a cui non arriva una posizione nazionale forte. Le scelte dei segretari sono state ad oggi insufficienti. Bisogna abbandonare i posti di lavoro, eventualmente anche intraprendendo delle azioni di lotta se non c’è il rispetto delle garanzie minime di sicurezza. Non siamo carne da macello e non possiamo esserlo per il bene nostro e dell’intera comunità. Viviamo a Bergamo, sentiamo continuamente passare ambulanze a sirene spiegate sotto le finestre, il sindacato non può rimanere in silenzio di fronte a tutto questo, deve tutelare i lavoratori e le lavoratrici.