Riceviamo e pubblichiamo una riflessione scritta da una delle attiviste di Non una di meno Bergamo, dopo le giornate di mobilitazione contro la violenza maschile e di genere.
Anche Bergamo s’è mobilitata in vista del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne; diverse realtà hanno indetto un presidio nel pomeriggio del 23 novembre, per ribadire che sul tema sono state spese troppe parole, senza però risultati concreti. Circa 400 persone erano presenti sul piazzale della stazione, alle 17.30. Non una di meno, tra le organizzatrici, ha ribadito l’importanza di un intervento strutturale, in quanto il femminicidio è solo la punta dell’iceberg di una società ancora profondamente maschilista e patriarcale.
Anche i centri antiviolenza di Bergamo e della provincia sono intervenuti per protestare contro i tagli della regione Lombardia, che limiteranno sensibilmente la possibilità di intervenire a supporto delle donne. E proprio il 25 novembre la mobilitazione è diventata nazionale: tante di noi sono andate a Roma al corteo che ha attraversato le vie della Capitale, tante di noi hanno partecipato all’assemblea nazionale.
“Basta Parole” è stato il claim scelto per il presidio, a sottolineare l’inadeguatezza dell’enorme mole di dichiarazioni che accompagnano la questione della violenza maschile sulle donne, sul piano della comunicazione e delle traiettorie istituzionali. Le “parole” contestate al centro del piazzale sono quelle che tratteggiano il maschile come senso e misura del proprio orizzonte di vita, sfilacciando i margini dell’autonomia e l’identità di ogni donna. Parole che cristallizzano una dimensione tanto contraddittoria, quanto logorante, in cui il femminile continua a disperdersi, per via di quell’insieme di pratiche e credenze – socialmente prodotte– che naturalizzano una realtà distorta e frutto di radicati sistemi di potere.
Il 23 novembre a Bergamo e il 25 novembre a Roma la piazza s’è trasformata nel luogo in cui acquisire forza e visibilità, dove ribaltare le immagini stereotipate che alimentano il sistema patriarcale. Riempiamo gli spazi di colore, di gioia, di significati riscoperti nell’azione collettiva che ci permettono di comprendere le nostre soggettività con intelligenza e partecipazione, anche attraverso le emozioni, rispettandone le sue forme così eterogenee e senza mai cedere ai regimi di verità.
Partecipare al presidio, essere al corteo romano sabato, o in un qualsiasi altro luogo collettivo lungo la linea del tempo e dello spazio, significa insorgere contro un imperativo sociale dominante. Sappiamo che la storia è fatta di storie – ce lo ha ribadito giusto qualche giorno fa Lidia Cirillo ospite di Barrio Campagnola durante la presentazione del suo ultimo libro: non esiste il femminismo, ma i femminismi. Possiamo ognuna/o di noi convergere su delle istanze e mobilitazioni differenti, in forza di un orizzonte di priorità ineguale, ma possiamo altrettanto unirci nella costruzione di pratiche capaci di svelare e sovvertire i dispositivi di dominio e le retoriche culturali radicati nelle relazioni sociali. Il cambiamento è già in atto, dobbiamo però prendercene cura.