La Caporetto della sanità lombarda: Bergamo sarà sacrificata di nuovo?

Bergamo – È sufficiente una rapida rassegna stampa per misurare l’ottimismo dei media italiani, megafono dei rappresentanti di Protezione Civile e istituzioni di governo che, nell’ormai consueto appuntamento delle conferenze stampa giornaliere, snocciolano numeri incoraggianti. Le parole del giorno sono ‘discesa’, ‘rallentamento’ e ‘stabilizzazione’, mentre Brusaferro, dell’Istituto Superiore della Sanità, si spinge un poco più in là affermando addirittura che, iniziata la discesa, è ora tempo di pensare la tanto agognata fase due, quella di riavvio della produzione. L’emergenza sanitaria sta dunque già volgendo al termine? Stiamo per intraprendere un percorso di graduale ritorno normalità?

In Lombardia, e soprattutto nella Provincia di Bergamo, sono parecchie le voci che dissentirebbero con (e esprimerebbero tutta la loro preoccupazione per) questa narrazione ottimistica quanto tossica, se solo potessero beneficiare della stessa attenzione mediatica accordata ai piani alti della gestione dell’emergenza. Nella regione epicentro della pandemia di Coronavirus, dove si concentra il 40% dei casi ‘ufficiali’ rilevati in Italia fino ad oggi, il picco è infatti tutt’altro che dietro l’angolo (meno che meno dietro le spalle): mentre a Milano i casi giornalieri crescono a un ritmo più sostenuto della media nazionale, a Bergamo i nuovi casi ufficiali da venerdì sono stati quasi 400.

L’Assessore Gallera, sempre più nel ruolo di governatore ombra della Lombardia, ha rimarcato l’incoraggiante diminuzione di ingressi nei pronto soccorso, ricoveri e pazienti in terapia intensiva, ma sono i dati che non ha commentato i più utili per interpretare la fase attuale. In particolare, a un sguardo meno ottimistico, non può sfuggire la relazione inversamente proporzionale tra il numero di nuovi ricoveri in contrazione e la crescita esponenziale degli isolamenti domiciliari in Italia. Sono dati importanti, perché ci dicono che l’emergenza non è alle nostre spalle, ma sta mutando forma e tornando nei luoghi in cui è esplosa, spostandosi cioè dagli ospedali alle strutture territoriali.

Ed è questo l’aspetto più preoccupante: ATS, ASST e la rete dei medici di base sono attrezzate per gestire la rapida crescita sia di persone dimesse e ancora positive sia di coloro che, in gran parte sfuggendo alle rilevazioni perché mai sottoposte a tampone, scontano l’infezione da Coronavirus presso il domicilio e affidandosi all’auto-cura? Per comprendere il significato dei dati in questione si tenga presente innanzitutto che, in circostanze ordinarie, il quadro clinico serio di pazienti con polmonite interstiziale virale è tale da giustificarne l’ospedalizzazione, e che, dunque, l’auto-cura cui queste stesse persone sono oggi obbligate a centinaia rappresenta una condizione di rischio elevatissimo.

Per comprendere come lo scenario che si sta delineando sia non solo allarmante ma intollerabile bisogna volgere lo sguardo a quello che sta accadendo sui territori epicentro della pandemia, dove l’emergenza si sta spostando. ‘Super’, rete di quasi 150 volontari e volontarie di circoli ARCI e collettivi che a Bergamo forniscono servizi di consegna domiciliare di beni essenziali, restituisce un quadro di quotidiana fornitura non solo di beni alimentari, ma anche di farmaci e bombole di ossigeno a pazienti in isolamento domiciliare, ovvero di prestazioni salvavita che, ad ora, non sono esperite dal sistema sanitario regionale, ma prestate su base volontaria. Dietro all’auto-cura, cioè, c’è l’auto-aiuto.

Ma si tratta solo della punta dell’iceberg. È ormai chiaro come il modello su cui Formigoni (prima) e la Lega (oggi e in perfetta continuità con l’alleato storico) hanno ridisegnato la sanità lombarda abbia irrobustito l’emergenza sanitaria anziché mitigarla. La smobilitazione degli ospedali periferici e delle terapie intensive, la contrazione dei posti letto e la centralizzazione delle funzioni in pochi ospedali di eccellenza sono parimenti responsabili del sovraccarico delle rimanenti terapie intensive nella pandemia, mentre le strutture ospedaliere private in convenzione si rivelavano in maggioranza sprovviste di mezzi e personale per sopperire alla domanda disperata di medicina di urgenza.

Mentre le strutture ospedaliere pubbliche, allo stremo, recuperano ora ossigeno affidando la maggiore quota di pazienti a cure domiciliari che sollecitano la mobilitazione di ASST e medici di base, i territori si trovano ad affrontare una emergenza sanitaria nell’emergenza operativa (di mezzi, di personale sanitario, di concreta capacità di erogare dati servizi sanitari), indeboliti da due decenni di mercatizzazione della sanità regionale che ha consegnato al mercato sia le strutture per lungodegenze come le RSA (dove la lungo degenza appare un onere per il pubblico e un affare per il privato), sia, a seguito dell’ultima riforma leghista del 2015, i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali.

Si tratta di questioni oggetto di scontro tra Regione Lombardia e medici di base già da due anni. Basti menzionare le proteste dei medici di base per la mercatizzazione dell’assistenza alle malattie croniche, in cui la figura del medico di base viene condannata alla marginalizzazione dall’apertura del settore ad aziende private. E ancora, a fine settembre, la campagna #AdessoBasta lanciata dalla Federazione italiana dei medici di medicina generale (FIMMG) in Lombardia per denunciare la cronica mancanza di fondi, di strumenti tecnologici e personale per gestire la mole esagerata di pazienti (oltre 1500 per medico di base) e adeguare l’offerta ambulatoriale ai bisogni emergenti.

La pandemia è esplosa impattando un sistema territoriale in cui ASST e medici di base erano già manifestamente sotto stress; che la territorializzazione dell’emergenza ne invochi ora la mobilitazione preoccupa legittimamente. Cosa ha fatto Gallera per attrezzare ‘in corsa’ il territorio per la nuova fase? Quasi nulla. Mentre Fontana concentrava gli sforzi sull’ospedale-evento in Fiera a Milano (annunciato per 550 posti, ridimensionato per 250 e ora attivo per 24 senza il personale medico necessario), pressoché nulla si è fatto per approntare strutture intermedie per casi lievi e convalescenze e potenziare le ASST. Mancano persino le protezioni minime per i medici di base.

E quello che si è fatto è persino peggio di quello che non si è fatto. Gallera continua a ignorare le domande della stampa sulla delibera regionale dell’8 marzo che scarica l’ospedalizzazione di pazienti COVID19 dimessi dalle terapie intensive sulle RSA, di fatto esponendo migliaia di persone anziane, le più fragili, e provocando una strage. E mentre Gallera rifiuta di fornire i dati sui decessi causati dalla misura, la delibera resta in vigore. Intanto, in bergamasca, le persone già decedute nelle RSA sono oltre 600. Le RSA, funzione ormai largamente privatizzata, erano inadeguate ad accogliere pazienti COVID19, perché si è scelto di destinarle a questa delicatissima funzione intermedia?

E poi c’è la questione dei medici di base e dei loro ambulatori, su cui la nuova fase di territorializzazione dell’emergenza rischia di precipitare come una valanga. La rete dei medici di base è stata la prima a saltare allo scoppio della pandemia, non a caso i medici di base pagano il tributo più alto in termini di vite umane. È della seconda metà di marzo la denuncia della Segretaria regionale della FIMMG Paola Pedrini circa l’inattendibilità di ottimistici dati ufficiali, dove criteri aleatori di somministrazione dei tamponi restituiscono un quadro forviante e il calo degli accessi ai Pronto Soccorso è artificiosamente rappresentato come un allentamento della pressione sul sistema sanitario.

Quello di Pedrini è un atto di accusa verso un uso dei dati ufficiali che rischia di «nascondere la responsabilità dei generali nella ‘Caporetto’ della sanità pubblica italiana», veicolato irresponsabilmente «da alcuni dirigenti delle aziende sanitarie. Diminuiscono gli accessi al pronto soccorso, quindi la gente ha paura di andarci o i medici di famiglia li mandano troppo tardi. Chi di noi sta lavorando in prima linea non si può permettere il lusso della chiacchiera: è assolutamente chiaro che la gente ci andrebbe al volo in ospedale quando sta male, ma i servizi di emergenza non ce la fanno a garantire tutti i ricoveri perché posti comunque non ce ne sono, i letti non si liberano”.

A fare da eco a queste parole già di per sé durissime, è intervenuto poi due giorni fa lo stesso Segretario Generale della FIMMG Silvestro Scotti, il quale, stigmatizzando il parere negativo della Ragioneria di Stato sull’emendamento 5.1 a prima firma Boldrini al Decreto Cura Italia (mirante ad estendere la fornitura dei dispositivi di protezione individuale a medici di medicina generale e pediatri di libera scelta), ha affermato: «mi chiedo quanto valga per lo Stato la vita di un medico o di questi attori del territorio. In questi termini il Cura Italia per i medici di medicina generale è più che altro una vergogna, che oltretutto, in altri capitoli, tende a proteggere gli esperti e i direttori».

Il passaggio nell’intervento di Scotti su coloro che Pedrini ha definito i ‘generali della Caporetto della sanità italiana’ è ancora più duro: «chi comanda da dietro le scrivanie, senza mai aver visto un paziente, indossa mascherine da operatore sanitario; ma queste mascherine servono a proteggerli da errori da loro commessi nei confronti degli operatori e dei cittadini durante questo periodo sicuramente complesso? Un frangente che richiede responsabilità, non certo dei salvacondotto. Ma ormai è chiaro, il sistema difende se stesso». Un riferimento che richiama alla mente il tentativo di introdurre nel nuovo Cura Italia l’emendamento per accordare immunità penale ai dirigenti sanitari a capo della gestione dell’emergenza che, sebbene ritirato da Salvini, resta un precedente inquietante.

Ed è ancora Scotti a lanciare l’allarme sulla fase due dell’emergenza, quella in cui la territorializzazione della cura senza fondi, mezzi e risorse umane adeguati rischia di limitarsi a un colposo occultamento della polvere ‒ polvere sollevatasi durante la pandemia ma accumulatasi per lungo tempo e con chiare responsabilità politiche ‒ sotto al tappeto, in un disastroso remake dell’ecatombe del marzo di morte che Bergamo non dimenticherà mai: «la situazione peggiorerà se e quando si allenteranno i contenimenti. Tutto ricadrà proprio sulle cure primarie, dove il contagio potrà riprendere il suo corso e creare nuovi focolai. Ma di questo è meglio non parlare, prevalgono i conti».

Anche il Presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo Guido Marinoni, in una intervista rilasciata a BergamoNews il 30 marzo, alludeva indirettamente alle responsabilità dei dirigenti al vertice della ATS (e dunque delle sottostanti ASST) nella gestione inadeguata di ospedali e reti territoriali fin dallo scoppio della pandemia: «l’ATS non ha messo in atto una politica sanitaria adeguata. Tutto il territorio è sfuggito, perché ci si è concentrati solo sui posti letto in terapia intensiva e ci si è dimenticati che questo è un problema di sanità pubblica». Parole pesanti, considerato che si tratta di responsabilità che puntano dritto al centro-destra e in particolare alla Lega di Fontana e Gallera.

Marinoni non fa nomi, ma è noto che le nomine dei dirigenti di ATS e ASST seguono la linea dell’affiliazione partitica. Ed è inevitabile che i riferimenti al focolaio in Val Seriana suonino come addebiti a Francesco Locati, dirigente in quota leghista a capo della ASST Bergamo Est, da cui dipende appunto l’ospedale di Alzano: «all’inizio, oltre al fatto che all’ospedale di Alzano Lombardo inizialmente non tutti gli interventi sono stati tempestivi e non si è provveduto con la chiusura del paese assieme a Nembro, sono state date indicazioni incerte alle RSA e alle comunità protette, la rete dei medici di famiglia e dei pediatri sono stati mandati in giro senza i presidi di protezione adeguati”.

Non si tratta di considerazioni guidate dal senno di poi, ne della mera (pure sacrosanta) ricerca delle responsabilità, si tratta di capire da subito come sarà gestita questa fase di territorializzazione dell’emergenza. E le responsabilità non sono solo in capo alla Regione: il Governo Conte intende mobilitare risorse per gestire l’emergenza in bergamasca, o i medici di base continueranno a rimanere soli e completamente disarmati? Non si tratta solo di rimediare a forniture deficitarie di mascherine, ma di mettere mano a una organizzazione della sanità regionale inadeguata a frenare la pandemia, evita gli errori commessi nella prima fase, continuare a salvare vite.

Si tratta di attrezzare l’ATS e rafforzare la capacità di intervento delle ASST, di trovare alternative immediate al disastroso impiego delle RSA come strutture intermedie, di garantire l’accesso al tampone alle persone dimesse ancora positive e alla loro famiglie, nonché a tutto il personale sanitario mobilitato. Si tratta di riorganizzare i servizi sanitari del territorio per affrontare il ritorno di fiamma causato dal pure necessario disimpegno delle terapie intensive. Serve un impegno finanziario coraggioso di cui, nell’euforia di dati ufficiali incoraggianti, non si trova alcuna menzione, perché la pandemia non volge al termine e la discesa della curva sarà lenta e altrettanto emergenziale.

Bisogna evitare che la discesa della curva si traduca in un tragico dejà vu del disastro che la provincia ha vissuto nella fase ascendente della pandemia. Perché, alle condizioni odierne, gli appelli al rapido riavvio della produzione che oggi campeggiano sulla carta stampata suonano come una minaccia intollerabile. Bergamo ha già pagato un prezzo altissimo, dovrà rivivere gli stessi errori una seconda volta? Torneremo a parlare di continuità produttiva anteposta alla salute pubblica? La Regione del governatore ombra Gallera continuerà a indugiare in questa gestione disastrosa dell’emergenza? Il Governo Conte continuerà a latitare? Urgono azioni concrete, le parole non bastano più.

Foto: 2020 © Roberto Giussani-Red zone chronicles

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2 Responses

  1. Sabrina Zocco
    Sabrina Zocco at |

    Ciao colleghi. Salvini ha ritirato il suo emendamento ma l’avvocato Trussardi ha parlato dell’altro del PD a firma del capogruppo al.senato Marcucci, definendolo persino peggiorativo. Sta nel fascicolo degli emendamenti a pag.28. Dovreste inserire il dato la dove dite che l’emendamento ritirato crea un pericoloso precedente. Grazie comunque per il bel pezzo che da l’idea di quel che è accaduto e perché.

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  2. Astrid Lombardi
    Astrid Lombardi at |

    Ma vi rendete conto di cosa state affermando?i problemi più grossi sarebbero arrivati dalle piccole strutture! Sparse dappertutto! Ognuno per se Dio per tutti! È poi secondo voi si struttura una sanità in funzione di una pandemia! Il sistema sanitario ordinario funziona benissimo! 100mila persone che vengono da altre regioni lo testimoniano.

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