BERGAMO – Quello dei migranti è un tema che si è fatto sentire nella nostra città e provincia. Basti pensare alle prospettive apocalittiche dipinte dal sindaco di Torre Boldone, Claudio Sessa, quando erano in arrivo nel suo comune soltanto otto persone.
Dall’altro lato invece c’è il sindaco Giorgio Gori che per mesi ha fatto capolino nei talk show politici e sulle pagine dei giornali nazionali con la sua proposta del permesso umanitario “a punti di integrazione”.
Mentre non si smette di parlare c’è anche chi è passato ai fatti. Come la prefettura che, quando l’amministrazione era intenta a polemizzare sul tema, ha emanato una circolare che impone l’uscita dalle strutture di accoglienza a centinaia di richiedenti asilo nel nostro territorio.
Secondo i dati della prefettura nel nostro territorio sarebbe accolti circa 1500 persone, tra donne, uomini e minori. Tutti in attesa di un permesso umanitario che ha buone possibilità di non arrivare. Anche se politicamente in questi mesi Gori ha tentato di mostrare un lato umano dell’accoglienza, è di pochi giorni fa la notizia che mostra quanto i provvedimenti presi in città siano esattamente in linea con quanto deciso (e imposto) dal ministero dell’Interno.
Da questo punto di vista Bergamo è stata decisamente “virtuosa” come si legge anche sull’Eco. La questura ha fornito i dati delle espulsioni effettuate nel 2015 e 2016: i provvedimenti sono quasi raddoppiati, facendo segnare un +75%. Sono infatti 350 le espulsioni totali emesse nel 2015 (340 per cittadini extracomunitari e 10 per comunitari) e 608 quelle dell’anno appena trascorso (589 extracomunitari e 19 comunitari). L’incremento è dovuto, spiegano in via Noli, al personale in più che il questore l’anno scorso ha assegnato all’ufficio immigrazione proprio per far fronte alla mole sempre maggiore di lavoro, prevedendo in qualche modo la circolare del prefetto Gabrielli.
C’è anche dell’altro: la questura di Bergamo non garantisce il permesso di soggiorno a chi ha ancora in corso l’ultima parte della richiesta di protezione internazionale. I richiedenti che fanno ricorso in corte d’Appello, non ricevono da via Noli il permesso di soggiorno che garantirebbe loro la presenza sul nostro territorio fino alla sentenza definitiva. Così rischiano l’espulsione ancora prima di sapere se verrà loro concesso l’asilo o meno.
Quando un richiedente asilo fa ricorso in corte d’Appello chiede che la sua pratica venga rivista, a fronte del diniego, ovvero del rifiuto da parte di commissione e tribunale di concedere la protezione internazionale. Mentre attende il verdetto della corte dovrebbe avere la possibilità di rimanere nelle strutture d’accoglienza e in generale sul territorio italiano. Per questo di solito viene chiesta la sospensiva del provvedimento di diniego: in attesa dell’ultima parola dei giudici si rimane nelle strutture di accoglienza visto che la pratica non è ancora conclusa.
Così da noi non succede visto che la questura di Bergamo ha deciso di interpretare la normativa sulla questione in maniera diversa: via Noli non concede la sospensiva e di conseguenza chi è in attesa della sentenza definitiva sull’asilo non possiede la documentazione per rimanere in Italia, diventando cosi’ clandestino. In poche parole non viene rinnovato quel permesso di soggiorno che darebbe la possibilità al richiedente di poter aspettare il verdetto finale della corte d’Appello continuando a usufruire dei servizi di accoglienza.
“La norma è scritta male e si presta a più interpretazioni. La corte d’Appello sospende automaticamente il diniego fino alla sentenza definitiva. Mentre la questura di Bergamo non lo fa, seguendo un’altra interpretazione della norma – ci spiega l’avvocatessa Veronica Mezzasalma – in poche parole tu hai ancora la possibilità di ottenere l’asilo ma ti viene negato il diritto di rimanere in Italia mentre aspetti il verdetto”. Una cosa che non succede con gli altri provvedimenti giudiziari: normalmente non si subisce la pena prima della fine di un processo. Invece a Bergamo i richiedenti asilo hanno la possibilità concreta di essere espulsi prima che l’organo giudiziario si pronunci definitivamente sull’argomento.
Questo crea un vero e proprio corto circuito: chi fa ricorso in appello non ha diritto a camminare per strada, lavorare, fare volontariato non potendo ottenere il permesso di soggiorno. “Anzi se autonomamente il richiedente asilo andasse a chiedere il rinnovo del permesso in questura si ritroverebbe in mano un provvedimento di espulsione” continua Mezzasalma.
Davanti al rischio di trasferimento nei Cie e dell’espulsione, per queste persone c’è una sola possibilità: rimanere chiusi nelle strutture d’accoglienza, essendo loro a tutti gli effetti dei clandestini. Un limbo giuridico che crea problemi non solo a chi lo subisce in prima persona, ma anche al sistema di accoglienza e a chi ci lavora. Ma questa è solo la migliore delle ipotesi che si può fare: l’altra opzione è la clandestinità e il diritto di accoglienza negato nonostante il processo sia ancora in corso.
L’interpretazione di via Noli viene fatta anche da altre questure in Italia, ma non da tutte visti i problemi strutturali che comporta. Non c’è da stupirsi insomma se Bergamo “stia facendo un buon lavoro” sulla questione delle espulsioni: diventare clandestino nella nostra città e provincia è, semplicemente, più facile che altrove. L’interpretazione della questura mette in scacco qualsiasi possibilità di integrazione nel territorio: senza i documenti i richiedenti non hanno il diritto neppure di passeggiare per strada, figuriamoci di frequentare una scuola d’italiano, fare volontariato o lavorare.