Bergamo – Tutti gli studenti e le studentesse, e le loro famiglie, avranno sentito parlare della famigerata “erogazione liberale per l’ampliamento dell’offerta formativa”, meglio conosciuta come “contributo volontario”. Richiesto sia dalla scuola media fino alle superiori, ogni anno al momento dell’iscrizione, si tratta di un contributo la cui somma varia a seconda dei diversi consigli d’istituto che lo deliberano: 100, 150, anche 200 euro possono essere chiesti alle famiglie per far fronte all’ampliamento dell’offerta formativa, ovvero a tutti quei servizi che con le sole proprie forze la scuola non riuscirebbe a sostenere, oltre che per le spese ordinarie delle famiglie per i propri figli (come il libretto scolastico, o l’assicurazione per gli infortuni, o le pagelle).
La natura, effettivamente volontaria, del contributo, esplicitata dal Ministero dell’Istruzione, viene spesso celata e in molti si ritrovano a pagarlo pensandolo obbligatorio, come sono invece, per esempio, le tasse per la frequenza scolastica. Alle famiglie raramente vengono fornite, nel momento della richiesta o alla fine dell’anno scolastico, documentazioni sulle spese che durante l’anno si effettueranno o si sono effettuate tramite il contributo volontario.
Facciamo un esempio. All’istituto superiore Mariagrazia Mamoli di Bergamo il contributo richiesto alle famiglie per ogni studente è di 100 euro, somma che dovrebbe coprire il primo libretto scolastico, l’assicurazione, la tessera utile per poter accedere al servizio fotocopie, possibili visite d’istruzione, possibilità di intercettare professori di lingue straniere madrelingua, manutenzione straordinaria dell’edificio scolastico e altri servizi. Il Mamoli comprende anche una sezione distaccata, con sede all’istituto Cesare Pesenti, per gli studenti e le studentesse che intendono frequentare la scuola serale per motivi di lavoro o familiari. La maggior parte di loro sono proprio lavoratori e lavoratrici a cui è sempre stato richiesto lo stesso contributo volontario, pari a 100 euro annuali, per l’ampliamento dell’offerta formativa. Eppure nessuno di loro è mai stato in possesso delle password utili a consultare il libretto scolastico o il registro elettronico online, nessuno di loro ha mai partecipato a visite d’istruzione mirate se non pagando di tasca propria, e in generale questi studenti non hanno usufruito dei servizi aggiuntivi a cui avrebbero avuto diritto, avendo pagato appositamente il contributo volontario.
Per questi motivi, durante lo scorso anno scolastico, alcuni studenti frequentanti il serale hanno organizzato una raccolta firme a cui in molti hanno aderito, tra rappresentanti di classe, dalle prime fino alle classi quinte, proprio per non pagare il contributo, ma poter accedere ugualmente ai servizi minimi della scuola, come il possesso delle password per poter essere aggiornati sui loro voti nelle diverse materie. Successivamente venne inviata una raccomandata alla preside della scuola, ma gli studenti non ottennero mai una risposta. A partire da questo anno scolastico, quindi, non stanno versando i 100 euro del contributo volontario, ma solo i 20 euro utili, in linea di massima, ad entrare in possesso delle password per il libretto scolastico personale e per il registro di classe: ma ad oggi, pur avendo ricevuto il libretto, non sono ancora in possesso delle password. Per ottenerle dovrebbero presentarsi alla segreteria dell’istituto Mamoli, presentando la documentazione dell’avvenuto pagamento, cosa che in molti di loro non riescono a fare, essendo lavoratori e lavoratrici impegnati durante le ore di servizio al pubblico della segreteria didattica; si ritrovano quindi a dover chiedere informazioni ai docenti, ugualmente indignati dalla situazione.
La poca trasparenza dei consigli d’istituto nel dichiarare quali spese vogliono essere specificatamente sostenute grazie al contributo volontario da parte delle famiglie e degli studenti, e nella realizzazione pratica successiva agli intenti dichiarati, rendono la questione del contributo volontario poco chiara e dunque suscettibile di discussioni e proteste da parte degli studenti, che non intendono ovviamente pagare una somma in più per servizi di cui poi, nel pratico, non possono usufruire.