Un corteo per gli ultras, con gli ultras

Bergamo –  Si è svolto ieri, sabato 13 aprile, il corteo per Claudio “Bocia” Galimberti, organizzato dai tifosi atalantini della Curva Nord di Bergamo. Per poter comprendere le motivazioni della manifestazione, e i motivi che hanno spinto la Curva a cercare di coinvolgere il più possibile l’intera città all’iniziativa, tramite una sua ferrata pubblicizzazione sui social network e con diversi striscioni appesi in vari punti della città, risulta necessario prima di tutto spogliarsi dei preconcetti che aleggiano attorno alla figura degli ultras, preconcetti alimentati in gran parte dai mass media, funzionali a questori e politici, che li dipingono come criminali, i nemici pubblici per eccellenza, i violenti e così via, facendo esplodere un vero e proprio vulcano di luoghi comuni pur di trovare il capro espiatorio di tutti i mali del mondo del calcio e della società civile in generale.

IL CASO
Il caso specifico di Claudio Galimberti appare in questo senso uno dei più eclatanti ed esplicativi, il capro espiatorio per antonomasia. Nell’ottobre del 2014, appena finito di scontare il suo ultimo Daspo, Galimberti ha provato a rientrare allo stadio. Dopo anni, era finalmente lecito per lui tornare ad assistere alle partite dell’Atalanta, come per qualsiasi altro tifoso che finisca di scontare una diffida. Nel momento in cui ha provato a comprare il biglietto, però, il suo nominativo è risultato bloccato, cosa possibile solo nel momento in cui, anche se ormai non più diffidato, un individuo è condannato in primo grado per un reato da stadio. Solo diversi mesi dopo, nell’agosto del 2015, si viene a conoscenza di un’ulteriore diffida emanata dalla Questura, della durata di cinque anni, a causa del famoso “episodio della porchetta”, nonostante il Bocia fosse stato in realtà prosciolto dalla Magistratura per quel fatto. Nella stessa diffida si comunica che essa è stata emessa applicando l’articolo 9, a causa di una condanna di primo grado ricevuta a Pordenone diversi anni prima. In quell’occasione, con lui erano stati condannati altri 12 tifosi, seppur la Corte d’Appello di Trieste, nel febbraio 2014, li avesse prosciolti tutti. Ma Galimberti è stato l’unico a subire l’applicazione dell’articolo 9, e il conseguente divieto di entrare allo stadio. La situazione ha, dunque, un che di paradossale:già ufficialmente assolto, ma ancora e perennemente sotto accusa, al Bocia è  impedito di riassistere alle partite, di fatto senza un reale motivo.  E non solo il caso di Galimberti risulta frutto di un accanimento giudiziario (e che è diventato poi, di conseguenza, mediatico), ma è anche la punta di un iceberg che non coinvolge soltanto lui.

LA GIUSTIZIA DI POLIZIOTTI E QUESTORI
Uno degli aspetti principali della questione tutta è la discrezionalità con cui la Questura può di fatto limitare in modo impressionante la libertà di un individuo, tramite diffide, obblighi di firma, fogli di via e divieti di entrare allo stadio, senza processi. Non si tratta, infatti, di schierarsi o meno a favore del Bocia, ma di schierarsi o meno a favore di un modus operandi portato avanti da questori e poliziotti in base unicamente al loro giudizio, che può definire un soggetto “pericoloso” e dunque da reprimere e controllare, come successe ai tempi dell’applicazione della sorveglianza speciale come misura preventiva, per esempio, e tramite tante altre misure repressive. La manipolazione mediatica che viene effettuata quando si parla di ultras verte, infatti, sulla lettura della questione come emergenziale e che quindi necessita di forme di questo tipo per essere controllata e sedata. Pare, invece, che l’obbiettivo sia quello di eliminare pian piano l’agibilità non solo di un singolo individuo, ma di tutto un gruppo organizzato, tramite assurde accuse, pur di aver legittimità, in seguito, di estendere questo tipo di controllo e oppressione anche a chi ultras non è.

“PRIMA GLI ULTRAS, POI TUTTA LA CITTA'”
Questa frase, conosciuta nei meandri di diverse tifoserie e non solo, non è estranea ai tifosi dell’Atalanta: è infatti fuor di dubbio, ormai, che lo stadio sia uno dei maggiori ambiti di sperimentazione dell’apparato repressivo, prima nei confronti del tifo organizzato in quanto tale, complice la narrazione dei giornali locali, e poi nei confronti della cittadinanza tutta. E’ facile per i questori, infatti, accanirsi e sperimentare su un “soggetto”, costantemente sotto accusa e reso debole agli occhi dell’opinione pubblica, come quello della Curva.  Il caso Galimberti è eclatante da questo punto di vista, l’esempio palpabile della repressione che vivono gli ultras,con pesanti limitazioni della propria libertà, che per anni sono state accettate dalla società perché toccavano solo “i violenti degli stadi”, ma che ormai trovano spazio e agibilità anche nelle strade e tra i cittadini comuni, che niente hanno a che vedere con il calcio o con il mondo del tifo. “Prima gli ultras”, prima di tutto vengono attaccati loro, facili da colpire e ancor più da condannare pubblicamente, per poi estendere diverse le misure repressive al resto della cittadinanza. Di esempi se ne trovano diversi: l’installazione delle telecamere a 360 gradi, inizialmente installate negli stadi e ora presenti un po’ ovunque come forma di controllo vigile e costante, piuttosto che l’introduzione del daspo urbano, esempio ancora più lampante, prima conosciuto per la sua applicazione tra i tifosi e d’un tratto divenuto norma vigente nelle città, Bergamo compresa. E così si è concretizzata la previsione, ormai datata, di come le forme repressive prima messe in campo tra i tifosi divengono poi estendibili alla città tutta.

In tantissimi sono giunti dalla Malpensata fino al Comune di Bergamo, dove era stato allestito un palco per l’occasione, sul quale si sono susseguiti diversi interventi volti a spiegare la situazione di Claudio. Il corteo di sabato ha voluto dare ancora voce al paradosso della sua vicenda, ma ha avuto anche il valore aggiunto di essere stato un’occasione per poter accendere nuovamente i riflettori su come viene amministrata la giustizia in città, sulle forme repressive che possono potenzialmente colpire tutti e tutte, come già sta avvenendo, e su come queste siano inizialmente sperimentate negli stadi. Si è marciato, dunque, sì per il Bocia, ma anche per gli ultras, con gli ultras.

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