Continua la rubrica delle Cronache dalla quarantena: qui pubblichiamo la lettera di un lavoratore dello spettacolo di Bergamo, che fa riflettere sulla situazione attuale di quei lavoratori e lavoratrici che di solito rendono possibili i grandi e piccoli eventi culturali.
“ “Quando salirai su quel “semplice, piccolo” palco, o quando ti appresterai (giustamente) a goderti lo show, ricordati che dietro tutto ciò ci sta un bizzarro gruppo di persone con le storie più disparate, con cento motivazioni diverse, ma con l’unica incrollabile motivazione di far le cose (col sorriso, mandandosi a quel paese quando serve) per bene.
Tappatevi le orecchie, un elenco infinito di “imprecazioni” nelle lingue più diverse, ma…un orgoglio sussurrato di far parte, seppur “dietro le quinte”, di qualcosa di speciale”.
Questo scrivevo in un post al termine di un allestimento di una manifestazione (rivolta a un’utenza di 5000 persone) lo scorso luglio. Un lavoro di mesi (tra organizzazione, progettazione, logistica, amministrazione, pratiche e mero montaggio/smontaggio delle strutture necessarie) che ha visto coinvolti Enti, sponsor, agenzie, tecnici e svariate ditte, dove ognuno ha messo in gioco la sua professionalità in un meccanismo complesso.
Mi presento, sono Andrea, titolare (assieme a altri 3 soci) di un Service di allestimenti spettacoli di Bergamo, attivo dal 2007 (ma con un’esperienza complessiva di 24 anni in questo ambito), con 5 dipendenti e una fitta rete di collaborazioni con altri Service, cooperative dello spettacolo e liberi professionisti.
Come per molti (quasi tutti) il lavoro si è bruscamente fermato il 23 febbraio a seguito dell’emergenza sanitaria, con le prime ordinanze che di fatto hanno chiuso teatri, musei, cinema, scuole e qualsiasi altro luogo dove regolarmente lavoriamo.
Le ripercussioni economiche, per noi, come per qualsiasi altro settore, saranno devastanti. Senza addentrarsi in un’analisi economica, basta constatare che di fatto se le entrate si sono ovviamente azzerate, le uscite (F24, tasse, affitti, finanziamenti…) sono state solamente rimandate.
Si aggiunga a ciò la difficoltà, la lentezza, l’inadeguatezza (si parla a ora di 9 settimane di cassa in deroga) di poter accedere agli ammortizzatori sociali per far fronte al pagamento degli stipendi del personale assunto, per dare l’idea di una situazione tragica.
Può sembrare paradossale parlare di “spettacoli” in questo momento, qualcuno si potrebbe anche offendere al grido “non sono essenziali” o “cosa vuoi che sia rinunciare a un concerto o uno spettacolo teatrale?”, ma…
Gia, quel “ma” è difficile vederlo da fuori. E lo so bene! In questi giorni ho parlato spesso con colleghi e amici (l’80% delle mie amicizie ruota attorno ai Live e tutto ciò che a essi è collegato) e a noi i meccanismi del “nostro mondo”, le sinergie necessarie sono chiari. Sappiamo benissimo che lavoro sta dietro l’organizzazione di un singolo evento, un impegno di mesi che poi ha come risultato visibile al pubblico una performance di poche ore.
Ma al di fuori vi è la tendenza (tipica di chi non conosce) di soffermarsi sul “prodotto finale”, chiudendo gli occhi sul complesso meccanismo di produzione e di mansioni che sta dietro a esso. Come utente (fruitore della visione di un evento) non avrei nessun problema a rinunciare a un concerto, se non il giustificabile dispiacere. Come lavoratore invece la rinuncia è più complicata e inserita in un complesso insieme di maestranze di fatto ferme, bloccate e senza un prossimo futuro.
Al danno economico, in parte quantificabile e purtroppo in buona parte affrontato con soluzioni tampone inter nos (in quanto la burocrazia e lo Stato ancora una volta si sono dimostrati lenti e inadeguati), si aggiunge un’incertezza di tempistiche e prospettive future da parte delle Istituzioni che non vogliono/possono affrontare le problematiche legate a questo settore. Ancora una volta da parte di esse sono arrivate “soluzioni” (es, piattaforme online a pagamento) che tengono conto del prodotto finale, ma non tutelano la filiera del mondo lavorativo dello spettacolo. Soluzioni inadeguate a garantirci un futuro.
Se con lo Stato sarà difficile dar voce alle nostre problematiche, difficoltà aumentata dal fatto che molte delle nostre realtà non sono rappresentate da alcuna associazione di categoria (e questo è una nostra colpa), alle persone chiederei semplicemente di fare un piccolo sforzo nel riconoscere l’impegno e la dedizione che mettiamo nella nostra professione.
Perché, davvero non è un hobby. Di questo strano mondo, della nostra passione, noi ne abbiamo fatto un lavoro, ognuno con la propria professionalità. E dietro molti di noi ci sono famiglie che sul frutto della retribuzione economica ci vivono, seppur a fatica e sopportando numerosi sacrifici (spesso siamo lontani da casa per parecchio tempo).
Qualche anno fa una mia amica mi disse “grazie, col vostro lavoro permettete a tutti noi di vivere, seppur per una serata, un sogno”.
Semplicemente questo chiediamo…di non venir dimenticati, di non esser giudicati inutili, perché tali non ci riteniamo.
Ne abbiamo affrontate tante, ci siamo rimboccati le maniche innumerevoli volte, abbiamo lavorato di giorno a 40 gradi e preso temporali, affrontato notti per ripartire dopo poche ore di sonno e da parte nostra continueremo a farlo, anche se consci che questa volta non ne usciremo da soli, ma abbiamo necessità di aiuti concreti da parte delle Istituzioni.
Con la speranza che, dopo un lungo periodo di privazione di di ogni performance artistica dal vivo, le persone riscoprano la necessità e il desiderio di esse e tornino, anche più di prima, a affollare teatri, cinema, locali, concerti. A questo si, potete provvedere voi!”