Cronache dalla quarantena: testimonianza di un residente di Seriate

Seriate – Sto trascorrendo la quarantena in casa con la mia famiglia e con un altalenante collegamento internet (non mi dilungo su quanto ritengo tutto questo essere un privilegio per niente scontato e su come non dovrebbe esserlo affatto).

I miei genitori sono entrambi lavoratori statali: mio padre è infermiere di terapia intensiva, mia madre è insegnante di scuola elementare. Ho due fratelli: uno frequenta l’università, l’altro è disoccupato. Io sono studente fuoricorso e mi arrangio come posso con impieghi occasionali o temporanei; a livello psico-fisico ho quasi recuperato del tutto dopo due gravi incidenti subiti nell’ultimo anno.

Con l’esplosione della pandemia abbiamo sviluppato una consapevolezza quasi immediata, visti i tragici resoconti di mio padre e la concreta possibilità di divenire veicoli di diffusione essendogli vicini. Infatti, nonostante il compito delicato che svolgono, né a mio padre né alle persone con cui lavora è stato fatto il tampone per verificare la positività o meno al virus. Molti suoi colleghi si sono ammalati, e alcuni di loro hanno potuto effettuare i dovuti accertamenti solo settimane dopo aver notato i primi sintomi. Inutile dire che possono essere e forse sono stati pericolosi vettori inconsapevoli, poiché a contatto diretto con colleghi e pazienti in ospedale. Inoltre l’attuale mancanza di personale formato, posti-letto, ventilatori polmonari, maschere, tute ermetiche e dpi ha ovviamente aggravato le cose.

In questa situazione specifica, la vita di tutt noi è cambiata. Sia io che i miei fratelli siamo blindati in casa, con l’ovvia impossibilità di avere una vita sociale e di dare una mano a volontari/attivisti che portano spesa e farmaci ad anziani e più deboli. Per assurdo l’unico modo che abbiamo per fare qualcosa di utile è proprio non agire, anche se è difficile e frustrante d’accettare, soprattutto per chi è sempre stato attivo in ambito politico-sociale. Il momento saliente della giornata è diventato andare a buttare la pattumiera sotto casa, mentre facciamo acquisti di beni primari una volta a settimana evitando il più possibile di uscire. Ho dovuto rinunciare al lavoro che avevo appena trovato ed alle visite mediche di controllo. Mia madre ha colmato il suo gap tecnologico da boomer, caricando compiti e lezioni e discutendo con gli altri docenti tramite internet: rimarca il fatto che gli alunni non hanno le stesse possibilità economico-materiali e spesso non possiedono un pc. Mio padre è sempre più incazzato e disilluso (ha però inviato un video di testimonianza ad una giornalista residente in Olanda), continua a ripetere la parola “strage” e a fare battute tragicomiche sulla sua condizione di salute. Ricordo che in Italia già una settantina tra medici e operatori sanitari è morta nel contrasto all’epidemia.

Sento amici e parenti tramite i social. C’è chi ha perso il lavoro perché era assunto in nero o a chiamata, chi doveva partire per l’estero in cerca di fortuna e si ritrova le ali tarpate a causa delle misure di contenimento, chi è all’estero e fatica a capacitarsi delle disposizioni in atto, chi sta sperimentando turni in smartworking, chi può seguire le lezioni universitarie online e chi si laurea osservando la commissione attraverso un pc, chi era in attesa di una sentenza del tribunale ed è nel limbo del diritto, chi si adatta alla situazione con forte resilienza, chi chiude il negozio per scelta o per imposizione e chi sciopera mandando affanculo il capo che lo vuole in azienda senza protezioni adeguate, chi non è più in grado di pagare le bollette, chi si sfoga suonando, dipingendo, scrivendo, facendo esercizio fisico.

Ormai tutt nella propria cerchia di conoscenze hanno qualcuno che ha contratto il coronavirus, qualcuno coi parenti che non ce l’hanno fatta e sono in attesa di un funerale a data da destinarsi, qualcuno con gli amici intubati in ospedale, qualcun altro in auto-isolamento perché sintomatico.

Ovunque a Bergamo si respira un alone di morte inconcepibile, e non lasciarsi andare è davvero dura.
Non ho certo la spocchia di proporre immediate “soluzioni salva-vita”, però di questi tempi penso sia fondamentale informarsi nella maniera corretta, individuare cause e responsabilità prime che hanno portato i due paesi della Val Seriana, Alzano Lombardo e Nembro, ad essere l’epicentro maggiore del contagio; comprendere gli enormi sforzi del personale sanitario magari smettendola di chiamare “eroi” coloro che hanno scelto con coscienza una seria professione (sottolineiamo: in dieci anni i vari governi hanno tagliato 37mld € e migliaia di posti-letto alla sanità pubblica) e che adesso vengono ritenuti “soldati” sacrificabili nel contesto di una fantomatica “guerra” (frame sbagliatissimo); raccontare e condividere ciò che accade scegliendo con cura le parole per farlo, non dimenticare che dietro ad ogni numero vomitato in televisione c’è un morto con una storia di dolore e sofferenza immane, sostenere le organizzazioni locali di volontariato attivo (vd. SUPER Bergamo), pretendere sostegno economico e reddito di quarantena, razionalizzare e trasformare la rabbia impotente almeno in ragionamenti di senso. Ricordare ogni cosa, quando quest’incubo finirà. […]

Un grazie sentito alla redazione di BgReport.

Un abbraccio virtuale a sanitari, pazienti e parenti delle vittime.

Bèrghem mola mia!

A.R.

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