Bergamo – Sono passati vent’anni da quella maledetta domenica 10 gennaio 1993. Quel giorno, a conclusione della partita tra Atalanta e Roma, Celestino Colombi moriva nel corso di violente cariche della polizia. Celestino non era un ultras, quel giorno non era nemmeno andato alla partita; Celestino perse la vita per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, stroncato dallo spavento e dalla paura. Da allora, ogni anno, gli ultras della Curva Nord hanno fatto del 10 gennaio una cadenza fissa, perchè quella assurda vicenda non sia dimenticata.
Anche quest’anno la Curva Nord ha voluto ricordare Celestino, a vent’anni esatti dalla sua morte. Circa 200 persone si sono date appuntamento presso il “Baretto” di viale Giulio Cesare, per poi spostarsi in maniera silenziosa verso il luogo in cui oggi campeggia una lapide, a ricordo e monito di quanto accadde. È stata una commemorazione sobria, senza retorica, a cui per la prima volta hanno preso parte anche i genitori di Celestino. Poche parole da parte degli ultras, il saluto della madre di Celestino, una torciata e poi un lungo applauso.
L’altra sera, a stringersi nel ricordo era una comunità intera, dalle vecchie glorie alle nuove leve, a dimostrazione dell’importanza che la Curva Nord attribuisce ancora oggi alla memoria di quell’accadimento. D’altra parte, la volontà di non lasciar calare il silenzio su vicende come quella di Celestino, rimarcata anche negli interventi, guarda al passato ma parla al presente. Su questo fronte, infatti, gli ultras neroazzurri sono sempre stati in prima linea: dalla storia di Gabriele Sandri a quella di Paolo Scaroni. Due storie che ancora gridano giustizia.
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