L’equità del manganello

Dopo quanto accaduto a Lovere sabato 28 maggio durante il presidio degli antifascisti, indetto per contrastare la commemorazione repubblichina, è stato lanciato un presidio sotto la prefettura di Bergamo. Una delegazione dei manifestanti ha incontrato la prefetta Francesca Ferrandino, che ha continuato a sostenere di aver tenuto un comportamento consono rispetto ai fatti. Così il presidio è diventato un corteo che ha sfilato per le vie della città fino a raggiungere la questura.

Quei manganelli sulla testa di chi protesta sono uno spettacolo già visto. A Lovere per tutelare una manifestazione fascista, ma una settimana prima a Bergamo, in occasione dell’apertura della campagna sulla riforma della Costituzione. Per capire la dinamiche di quello che è successo nelle due giornate basta leggere la cronaca delle mobilitazioni. Violenza gratuita senza giustificazioni.

Tuttavia, l’atteggiamento della Questura va ricollocato in un quadro più ampio della gestione dell’ordine pubblico in Italia. Bergamo non è un caso isolato, anzi. Il comportamento della polizia è chiaro e non fa differenze: che abbia di fronte le famiglie senza casa in piazza Campidoglio, i facchini in sciopero per condizioni di lavoro a Piacenza, la gente di Bagnoli che contesta il premier,  il risultato non cambia.

Se c’è un’equità è quella del manganello: il dissenso non va espresso, sia esso contro una riforma costituzionale o contro qualunque altro provvedimento voluto dal governo. Se si esprime va soffocato.

Anche il panorama internazionale va nella stessa direzione: l’etat d’urgence (“lo stato d’emergenza” ndr) francese ne è un chiaro esempio. Ovunque si rafforzano i poteri degli esecutivi e si indeboliscono gli spazi di partecipazione. Il potere è sempre più nelle mani di lobby ed élite ristrette.

Le voci che esprimono il dissenso vengono soffocate, fino al punto da non rendere più possibile nessun tipo di negoziazione. Quando la mobilitazione è in grado di arrivare a colpire interessi economici, disturbando la narrazione dominante, si sceglie la via della forza e la repressione diventa procedura.

Gli studenti che bloccano una stazione ferroviaria, i lavoratori che fermano la produzione in raffineria, i facchini che impediscono alle merci di uscire da un magazzino, chi vuole impedire una manifestazione fascista a Lovere: non importa chi sei, se la tua protesta esce dai binari assegnati dall’alto va fermata e con tutti i mezzi, anche quelli violenti. Chi osa mettere in discussione lo status quo e lo fa rivendicando spazi più ampi di dissenso è tacciato come incompatibile e deve pagare.

Pagare in piazza, subendo la violenza delle forze dell’ordine,  pagare anche dopo, con le denunce che sistematicamente  piovono su chi partecipa alle mobilitazioni. Così iniziano i processi che durano anni in attesa di un giudizio, dall’esito sempre incerto. Infine ci sono le spese legali, che pesano sulle tasche degli imputati.

C’è la necessità di rilanciare e costruire continui spazi di libertà di chi vive ogni giorno sulla propria pelle politiche a cui è legittimo opporsi. Perché sicuramente non saranno i governi a difenderli.

 

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2 Responses

  1. Stefano Magnone
    Stefano Magnone at |

    Io ero al Sociale di Bergamo e ringrazio le forze dell’ordine per il loro lavoro fuori e dentro il teatro.

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  2. Tom
    Tom at |

    Io ero a Rovetta,dalla parte giusta,e desidero ringraziare Angelo per il suo discorso tenuto li!

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