Una petizione per intitolare il nuovo ospedale da campo a Don Fausto

Bergamo – E’ nato da quattro giorni, e già conta più di 4500 membri, il gruppo Facebook che costituisce sicuramente il più grande omaggio, inevitabilmente virtuale, che la città ha tributato a don Fausto Resmini dopo la sua morte per Covid-19. Si chiama, e nel nome c’è già il senso dell’iniziativa, “Ospedale da campo Don Fausto Resmini”, e propone l’intitolazione del nuovo Ospedale da campo per i malati di Coronavirus a Don Fausto.

L’idea è stata di Marina Torricella, medico di base, impegnata quotidianamente contro il virus, che ricorda: “Io lo avevo conosciuto molti anni fa, perché aveva seguito alcuni miei pazienti giovani e problematici. Ricordo con molto affetto che un giorno al telefono mi ha detto: ti piacerebbe un giorno mangiare la torta con i miei ragazzi?”. In seguito: “don Resmini mi ha aiutato in situazioni difficilissime con pazienti, che sembravano ormai persi nel nulla, accogliendoli. Li curava anche lui i miei pazienti, in modo diverso, nell’anima e nel cuore.

Dal gruppo è nata una petizione indirizzata al Prefetto, al Presidente della Regione Fontana e al Sindaco Gori, petizione che è già arrivata a 4300 firme. Dice che l’intitolazione “vuole essere un riconoscimento a una delle figure più nobili del nostro territorio, che ha agito fino all’ultimo in difesa dei più deboli e dei meno tutelati, bambini, migranti, carcerati, e tutti coloro che si trovavano in uno stato di necessità. Infaticabile anche nei suoi incontri con gli studenti, per spiegare, confrontarsi, rispondere.”

Prosegue la dottoressa Torricella: “Consegneremo le firme a chi di dovere, con due convinzioni: la priorità ora è la cura, cercare di uscire al più presto da quest’incubo. La seconda è che il valore o, per chi preferisce, la santità di don Fausto Resmini non dipende certo dal suo nome dato a un ospedale da campo. Fondamentale è che continuino le sue opere.”

Una prima reazione non è stata positiva: la dottoressa Stasi, direttrice generale dell’ospedale Giovanni XXIII, ha dichiarato, alla presentazione della nuova struttura: “La struttura è già intitolata a Papa Giovanni, perché questa è la nostra nona torre […]”, negando ogni possibilità di accogliere la richiesta. Immediata però anche la risposta dei promotori: “Noi siamo abituati a saldarli, i debiti di riconoscenza. Quello con don Fausto è immenso.”

Come ricorda Gianfranco Fornoni, uno degli amministratori del gruppo: “Conobbi Fausto da uomo quasi libero, lo conobbi prima che diventasse cappellano del carcere. Prendevo il 7 per Sorisole la mattina, partivo da via Gleno, arrivavo per l’ora della messa e delle lodi mattutine che si aprivano col cantico di Zaccaria; mi sedevo fuori su una panchina, a volte entravo nella chiesina. Poi incominciava la giornata con i ragazzi, il laboratorio di legatoria, le ripetizioni, la lettura dei giornali alla ricerca di parole strane, parole di e da “signori”: quella comunità si chiamava e chiama don Milani non per un vezzo, ma per un segno profetico. Si pranzava insieme e senza troppe benedizioni, il pane era buono e santo di suo. Cenare lì non potevo, dovevo riprendere il 7 e tornare al carcere. Passai un anno così, fitto di incontri quotidiani, lavoro, vicinanza con don Fausto, scoprii un mondo particolare, dotato di una radicalità che non mi era nuova, anche se era una radicalità diversa dalla mia. Si discuteva di emarginazione, vita illegale, di una pastorale carceraria da costruire insieme a don Vittorio. Fu un incontro importante, significativo nel pieno senso. Poi divenni sempre più libero, ricostruii una mia vita e i rapporti divennero più rari, mi sposai nella chiesa della Madonna dei Campi, lì accanto al patronato di Sorisole; doveva celebrare Fausto, ma all’ultimo ebbe un malore e mi rivolsi all’altro prete della mia vita, Biagio. Ci si rincrociò per l’ultima volta quando organizzammo un presidio per tenere aperta la stazione autolinee durante l’emergenza freddo nel 2018. Mi trovai a fare da laico quello che lui aveva iniziato a fare con il camper venti anni prima, con Borghezio che lo insultava. Forse è per questo che carità e amore sono divisivi per gli uomini e al tempo stesso riuniscono fratellanze diverse, altrimenti saremmo solo cembali che tintinnano.”

Il gruppo e la petizione non si prolungheranno oltre al tempo necessario per ricevere una risposta alla domanda posta. Se nessuna risposta arriverà, sarà un’occasione persa per la città e più ancora per una comunità che soffre. “In questi giorni in cui quasi tutti, sul nostro territorio, dobbiamo piangere parenti o amici, l’intitolazione a don Fausto è un atto di forte valore comunitario, di riconoscenza a un uomo grande, di cui andare fieri.”

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