Presidio a Bergamo in solidarietà alle lotte negli USA dopo l’omicidio di George Floyd

Bergamo – Come in moltissime città italiane e del mondo negli ultimi giorni, anche Bergamo è scesa in piazza in solidarietà alle manifestazioni negli Stati Uniti scaturite dalla brutale morte di George Floyd, cittadino americano, nero, morto dopo un violento arresto da parte di un agente di polizia a Minneapolis, Minnesota, il 25 maggio scorso. I video che hanno fatto il giro del mondo testimoniano la violenza dell’arresto di Floyd, avvenuto per mano dell’agente David Chauvin, con il complice immobilismo degli altri suoi tre colleghi presenti: Floyd, disarmato, era stato sdraiato in terra, immobilizzato, il ginocchio del poliziotto piantato sul suo collo, nonostante le grida dei passanti e delle stesse suppliche di Floyd: “Please, I can’t breathe”. Svenuto, poco dopo dopo George è morto. In centinaia si sono riversati per le strade di Minneapolis, assaltando il commissariato  di polizia, e a macchia d’olio le manifestazioni e la solidarietà sono arrivati da ogni parte degli Stati Uniti, da Los Angeles a New York, da Atlanta a Washington, al grido unanime delle ultime parole di George Floyd: “I can’t breathe”, nonostante le minacce del presidente Donald Trump, preoccupato per i legittimi disordini e per i saccheggiamenti avvenuti in alcuni quartieri.
 I tentativi di Trump di porre fine alle proteste non possono nulla contro la rabbia che rimane spesso inespressa, in un contesto come quello americano in cui il razzismo è ancora intrinseco, una questione non risolta e ancora tremendamente radicata anche  nelle divise che, teoricamente, dovrebbero difendere e proteggere i cittadini e le cittadine. 
 Le proteste sono poi partite anche nel resto del mondo, con manifestazioni importanti e partecipate, e oggi il collettivo degli studenti di Bergamo ha organizzato un presidio in solidarietà alle  lotte dei neri in America, lotte che non si limitano all’indecente episodio avvenuto, ma che anche denunciano a gran voce le loro condizioni di vita e le discriminazioni subite in maniera sistematica. Al presidio hanno partecipato in centinaia, molti giovanissimi e, come avvenuto in tante altre città, ci si è inginocchiati in silenzio, con il pugno chiuso alzato, in ricordo di Floyd e non solo. 
La morte di George Floyd, infatti, non è un caso isolato: la lista dei decessi avvenuti per mano della polizia in nome del razzismo negli States è così lunga da far venire i brividi, eppure essenziale per comprendere come il fenomeno sia sistematico e costante da anni e anni: basti pensare alla morte di Eric Garner, avvenuta nel 2014 in una circostanza terribilmente simile a quella di Floyd; ma anche la morte Freddie Gray nel 2015,  di Mike Brown nel 2014, di Tamir Rice di soli 12 anni, o di Trayvon Martin nel 2012. Tutti uomini (o non ancora uomini, addirittura) uccisi per mano di agenti di polizia che spesso non hanno subito alcuna conseguenza per le proprie azioni. Il caso Garner fu emblematico: dopo che l’agente Daniel Pantaleo, che aveva immobilizzato Garner senza permettergli di respirare, gesto che costó la vita al quarantenne afroamericano, non venne condannato, a New York scoppiarono proteste e manifestazioni per la frustrazione e la rabbia.
David Chauvin, il poliziotto che ha provocato la morte di Floyd, è stato licenziato ed è al momento accusato di omicidio di secondo grado, rischiando 40 anni di carcere, mentre i suoi tre colleghi sono accusati di favoreggiamento. Nonostante i poliziotti abbiano dichiarato che Floyd avesse opposto resistenza all’arresto e fosse morto per una problematica medica insorta in quel momento, i video che li incriminano non lasciano spazio all’immaginazione o ad altre versioni dei fatti accaduti, e smentono palesemente le dichiarazioni degli agenti: George Floyd, cittadino afroamericano quarantaseienne, padre di una bambina di soli 6 anni, è stato ucciso da un agente di polizia, vittima dell’abuso di potere e della violenza ai danni della comunità nera negli USA ma, come ha detto proprio sua figlia, “ha cambiato il mondo”, riponendo l’accento sulla questione delle discriminazioni razziali.
2020 © foto di Matilde Tomasoni 
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