Alzano Lombardo – È stato poco più di un atto formale. L’ufficiale giudiziario ha disposto per la quarta volta il rinvio dello sfratto della famiglia Lal, senza nemmeno avvicinarsi all’abitazione. Si direbbe che la macchina degli sfratti inizi a manifestare i primi segnali di cedimento. D’altra parte, la resistenza verso sfratti e sgomberi sarebbe un fenomeno in crescita: alle due mobilitazioni di settimana scorsa a Martinengo e Alzano, ha fatto seguito quella di ieri a Desio, sul confine tra Lecco e Bergamo, e stamattina erano diverse decine le persone che, in contemporanea, hanno impegnato i due fronti di Alzano e Trescore, dove avrebbero dovuto avere luogo altrettanti sfratti. Se a ciò si aggiunge la mobilitazione di decine di famiglie che a Zingonia si oppongono alla demolizione delle torri ALER e rifiutano di abbandonare i propri alloggi, quello che emerge è uno scenario di scontro aperto.
Il bilancio più salato riguarda le famiglie migranti, spesso vulnerabili economicamente e più esposte agli effetti dalla crisi. Il caso della famiglia Lal di Alzano, in questo senso, è un caso emblematico. Malgrado si tratti di uno sfratto per morosità incolpevole, come ormai oltre il 90% degli sfratti nella nostra provincia, la sostanza del provvedimento non cambia: alla famiglia è intimato di abbandonare l’alloggio. Da alcuni mesi la determinazione della famiglia di Lal Krishan e la mobilitazione solidale di decine di persone hanno impedito che lo sfratto venisse eseguito, ma ancora non si prospetta alcuna risoluzione del problema. L’amministrazione resta ferma sulla sua proposta: un biglietto di sola andata per l’India, paese dal quale la famiglia proviene. Ma si tratta di una soluzione inaccettabile per la famiglia Lal, che, a pieno titolo, attende l’assegnazione di un alloggio popolare nel Comune di Bergamo e che, soprattutto, in Italia ha costruito la propria vita.
Krishan ha trascorso metà della sua eistenza in Italia. Negli ultimi 10 anni ha abitato ad Alzano con la sua famiglia. Oltre alla moglie, Krishan vive con un figlio e una figlia di 17 e 19 anni, e una figlia più piccola che l’India non l’ha mai vista. Le figlie e il figlio frequentano la scuola a Bergamo, e la figlia di 19 anni è in procinto di conseguire il diploma. Krishan non ha mai smesso di lavorare, anche se negli ultimi 2 anni le cose si sono complicate. La sua storia è simile a quella di molte persone che hanno perso il lavoro e non possono più pagare l’affitto. Krishan non si è dato per vinto: ha accettato di lavorare in nero dove e come poteva, ha continuato a cercare un nuovo impiego e, da circa due mesi, finalmente, ha un nuovo contratto come artigiano. Certamente per risollevarsi occorre tempo, è capitato a molte famiglie. Ma perchè la famiglia Lal dovrebbe tornare in India? Perchè Krishan dovrebbe lasciare il lavoro e i suoi figli la scuola che frequentano?
Se l’offerta di rimpatrio per famiglie migranti in difficoltà economica appare una prassi di molte amministrazioni leghiste della provincia, è Alzano ad essersi meritato una menzione particolare. A scatenare la polemica niente meno che Julian Assange. Alcuni mesi fa, infatti, WikiLeaks diffondeva un dispaccio risalente a gennaio 2010 in cui il Console statunitense a Milano segnalava lo “strano caso” di Alzano: «Nel tentativo di incoraggiare investimenti nel decadente centro storico cittadino, dove buona parte dell’ampia comunità migrante risiede, il comune sta costruendo una parking area libera per coloro che posseggono una casa nella zona. Ma ci sono alcune condizioni. I beneficiari devono essere cittadini italiani, sposati o prossimi al matrimonio, sotto i 65 anni, ed essere stati residenti della cittadina per tre anni o più». Il provvedimento discriminatorio è poi stato ritirato; ma l’ombra negativa non abbandona la Giunta leghista.
Ad Alzano come altrove, le retoriche razziste posseggono sovente anche intendimenti materialmente gretti. Il tentativo di incentivare la presenza “autoctona” nel centro storico incorpora la malcelata volontà di rivalutazione immobiliare; una dinamica diffusa in buona parte dei centri urbani, che finisce sempre per innescare spinte espulsive ai danni delle popolazioni più fragili, italiane o migranti che siano. Non si fa troppa fatica allora a comprendere il disinteresse dell’amministrazione verso le sorti della famiglia Lal, che risiede proprio nel centro storico. Ecco perchè la famiglia Lal non sta lottando “soltanto” per la casa, o “soltanto” per quei diritti di cittadinanza che persone provenienti da altri paesi vedono puntualmente negati. Questa lotta riguarda innanzitutto il diritto ad abitare dignitosamente nel territorio che si è scelto come proprio. La controparte si avvantaggia di retoriche razziste e securitarie, ma le implicazioni connesse a questo gioco non fanno distinguo di natura etnica. Semmai, la discriminante è sociale: a pagare è sempre chi possiede meno, quale che sia il colore della sua pelle.