Bergamo – Così si esprime il professore di psicologia dell’Università degli studi di Bergamo Pietro Barbetta, riferendosi al disegno di legge che sta per essere votato in Parlamento e che sembra stia passando totalmente inosservato. È il decreto Ciccioli, onorevole del Pdl che vuole annullare la legge 180 del 1978 (la legge Basaglia, del trattamento umano per i malati) per tornare a ripristinare la legge del 1904, che dava priorità al contenimento fisico e alla sedazione psichica piuttosto che alla cura dei pazienti.
Barbetta ha scritto un pamphlet in cui afferma il pericolo e il danno che questa riforma sanitaria potrebbe comportare. Essa implicherebbe infatti un consistente aumento dei T.S.O. (Trattamenti Sanitari Obbligatori), ovvero internamenti forzati della durata di sette giorni estendibile a quattordici e spesso attuati senza necessarie verifiche, a cui seguono pesanti terapie farmacologiche non concordate col paziente, che in un ambiente costrittivo e repressivo, genera nel degente, già in condizione di debolezza, traumi da cui è difficilissimo riprendersi.
Attualmente, la legge 180 definisce il T.S.O. come uno strumento medico-giuridico. Infatti, il trattamento viene proposto da un medico-psichiatra e poi convalidato dal Sindaco e dal Giudice di competenza. Spesso la verifica finale di un provvedimento così serio, realizzata da figure giuridiche, si limita all’autorizzazione al trattamento, invece di una verifica rigorosa sull’esistenza di condizioni estreme per tale intervento, che rischia di divenire una forma di eliminazione di problematiche che hanno cause profonde, spesso relazionate alla carenza culturale e umana della società e che non possono essere messe a tacere come casi scomodi, del resto sempre in aumento. In Inghilterra, esistono unità di crisi che si recano sul posto per verificare gli estremi del T.S.O., e il paziente viene affidato ad un avvocato che lo tuteli nella degenza.
Per questo Pietro Barbetta, ricorda che la legge Basaglia del ‘78 è “una legge che si può ancora migliorare”, affermandone comunque l’incontestabile valore, essendo stata una reazione coraggiosa allo squallore umano dei manicomi e del pensiero dominante che li aveva generati. Eppure in Italia, la miseria dei reparti psichiatrici, l’uso indiscriminato dei T.S.O., la mancanza di finanziamenti e addirittura l’isolamento degli enti sanitari che promuovono cure alternative alla sedazione psicofarmacologica, sembrano indizi che confermino l’alienamento ad un pericoloso pensiero in voga negli “alti” ambienti della psichiatria internazionale, dove l’uomo viene considerato un meccanismo. La riforma Ciccioli, che già rappresenta un campanello di allarme solo per il fatto di essere stata scritta, nasce in questo contesto reazionario, che è perfettamente in linea con il progressivo affermarsi del principio di efficienza come valore assoluto, in cui la persona e l’esistenza in generale non ha valore se non è funzionale, e, se rappresenta in qualche modo un ostacolo a questa funzionalità, va rinchiuso, sedato, o comunque messo a tacere.
Purtroppo la situazione al reparto psichiatria di Bergamo non è annoverata fra i casi più esemplari del Paese: ricoveri coatti frequenti, pazienti legati ai letti, persone sedate quotidianamente in maniera pesante.Se fosse accettata, questa riforma comprometterebbe ulteriormente il ruolo degli operatori psichici, che dalla funzione di accompagnatori in un processo di guarigione, diverrebbero invece guardie, con il compito di sedare i pazienti che hanno al contrario bisogno di riallacciare relazioni, e non di essere lasciati in stanze che ci facciano dimenticare la follia di questa società. Il ddl Ciccioli rappresenta quindi una forza in contrasto con il lavoro di gruppi di ricerca di diversi dipartimenti di sanità mentale, che muovendosi in controtendenza al pensiero psichiatrico dominante in Italia, hanno tentato di far prevalere la relazione e il dialogo terapeutico con il paziente, anziché applicare l’uso di forti dosi farmacologiche che sedando e annullando la coscienza di una persona con un disagio, ne compromettono, spesso irrimediabilmente, le possibilità di recupero.
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A Nino.