Bergamo – Sono mesi di lotta per i lavoratori e le lavoratrici dell’azienda di trasporto ferroviario Trenord, azienda nata nel 2011 (ma come joint venture già un anno e mezzo prima) sotto forte impulso di Regione Lombardia, frutto della fusione di due aziende storiche del trasporto ferroviario, LeNord e Trenitalia. Un matrimonio, secondo le parole degli stessi promotori, sorto l’intento di unificare il trasporto regionale lombardo in quello che Roberto Formigoni ha definito “federalismo ferroviario”.
Sembrano lontani i tempi in cui l’Assessore ciellino Raffaele Cattaneo si mescolava in incognito tra i pendolari per documentare le carenze di un servizio ferroviario quasi al collasso: fin dalla nascita la nuova azienda ha potuto contare infatti su una forte ed entusiastica copertura mediatica, nonostante i prezzi dei biglietti siano raddoppiati e i disservizi per i pendolari non sembrino ancora risolti. Eppure le valutazioni di media e politica sono oggi decisamente più bonari, con buona pace di Regione Lombardia che di fatto controlla la società ferroviaria.
Se l’immagine mediatica dell’azienda sembra essere migliorata, gli addebiti gravano oggi sui lavoratori e le lavoratrici, a cui, a più riprese, sono state indirizzate varie accuse di inefficienza da parte degli stessi vertici aziendali. Alle accuse a mezzo stampa sarebbero poi seguiti i provvedimenti: crescita esponenziale di sanzioni disciplinari e velate minacce di licenziamento nei confronti del personale dipendente, il cui operato, coerente con la normativa, cozzerebbe però con gli obiettivi di produttività dell’azienda (che punterebbe ad aumentare quanto più possibile il numero delle corse).
I regolamenti dettati dall’infrastruttura ferroviaria (e dal codice penale), permetterebbero di fornire un servizio di trasporto in piena sicurezza, per chi lavora e per chi usufruisce del treno; la ferma volontà della maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici di continuare ad applicarli con rigore sarebbe all’origine delle tensioni. Il braccio di ferro si giocherebbe perciò tra esigenze produttive da una parte e preservazione degli standard di sicurezza dall’altra. Trattandosi di un servizio pubblico essenziale, la questione non è di poco conto.
In questa partita, la Giunta regionale gioca ovviamente la sua parte, non senza episodi paradossali. Come nel luglio scorso, quando, dalle pagine del quotidiano Libero del 20 luglio 2011, l’Assessore Cattaneo imputava i ritardi e le soppressioni dei treni ad un boicottaggio da parte del personale dipendente. Una strategia che, screditando l’immagine di chi lavora, ne indebolirebbe di conseguenza anche le legittime rivendicazioni.
A tutto questo va aggiunto che i contratti di provenienza dei due rami aziendali sono scaduti ormai da tempo (il contratto collettivo nazionale delle attività ferroviarie è scaduto dal 2006 e quello dell’autoferro nel 2007) e che le rappresentanze sindacali RSU non vengono rinnovate ormai da quasi un decennio. L’azione sindacale, soprattutto nel ramo ex Trenitalia, è ad oggi pressochè inesistente: l’azienda da anni non tratta neanche i turni di lavoro con il sindacato e le riorganizzazioni aziendali vengono imposte con ordini di servizio, cioè con azioni unilaterali.
In questo contesto, il 22 giugno 2012 le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, Fast, Ugl e Faisa hanno siglato il nuovo contratto aziendale di Trenord. Nelle stesse parole dell’amministratore delegato Giuseppe Biesuz, super-menager da 334.000 euro l’anno, già indagato nel 2001 per il colossale crac di Finmek, il nuovo contratto «è basato su più produttività e maggiori ore di lavoro e prevede l’inserimento di un criterio meritocratico: chi lavora di più guadagna di più». I toni entusiastici di Biesuz non spengono però le perplessità: turni serrati potrebbero incidere negativamente sulla sicurezza, a maggior ragione in una funzione come quella del trasporto pubblico che implica per il personale dipendente l’assunzione di enormi responsabilità.
Alcuni dati di realtà sembrerebbero comunque ridimensionare la decantata portata innovativa del contratto. Quando Biesuz afferma che «il 70% dei capitreno e macchinisti lavorava intorno alle 3 ore al giorno», tralascia di spiegare che il personale di bordo può ricoprire turni fino a 10 ore di lavoro non straordinario. Se il vecchio contratto prevedeva sulla carta 36 ore settimanali (ora elevate a 38), la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici, soprattutto nel personale viaggiante e di macchina, sono già da tempo costretti ad eccedere le ore di servizio per sopperire alle carenze organiche e garantire la regolarità del trasporto pubblico.
L’accento di Biesuz sull’imperativo della produttività, oltre alla dichiarata intenzione di “seppellire” il contratto collettivo nazionale, pone Trenord in completa sintonia con il modello Marchionne. Sull’altro fronte, le parti sindacali, se non accondiscendenti, palesano la completa incapacità di contrastarne l’avanzata, giustificando attendismi e cautele con lo spauracchio della delicata fase economica e delle gare d’appalto del 2014. L’amarezza di tutto il personale dipendente è palpabile: azioni di protesta, crescenti disdette da parte delle persone iscritte e persino le defizioni di alcune componenti interne alle segreterie provinciali dei sindacati confederali.
A pesare come un macigno le modalità con cui il nuovo contratto sarebbe stato approvato. Esso non sarebbe stato vagliato dai lavoratori e dalle lavoratrici tramite referendum, così come da sempre avviene nelle ferrovie. Sarebbero state invece chiamate ad esprimersi le RSU, ormai “decimate” e prive di legittimità poichè nominate nel lontano 2004. Nonostante le forti pressioni delle segreterie sindacali regionali, diverse RSU, nel rispetto della volontà dei lavoratori e delle lavoratrici, non si sarebbero presentate all’incontro, tanto che per validare la proposta contrattuale si sarebbe fatto ricorso ad atipiche votazioni via telegramma
La protesta dei lavoratori e delle lavoratrici di Trenord prosegue per tutta la settimana con l’obbiettivo di ottenere il referendum anche sul contratto aziendale. Il personale dipendente del settore viaggiante ha decretato lo stop alla collaborazione aziendale (lavorando unicamente nelle fasce previste dal turno), mentre giovedì 26 luglio è previsto lo sciopero indetto da Orsa (unica sigla a non aver firmato il contratto aziendale e con riserve su quello nazionale), sciopero esteso a tutto il personale di Trenord.
– Nella foto da sinistra a destra: Mauro Moretti (A.d. del gruppo Fs), Norberto Achille (presidente del gruppo Ferrovienord), Roberto Formigoni (presidente della Regione Lombardia), Raffaele Cattaneo (assessore alle Infrastrutture e mobilità),Giuseppe Biesuz (A.d. di Trenord ) e Vincenzo Soprano (presidente di Trenord) –
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Sono un lavoratore di Trenord, particolarmente arrabbiato!
Voglio fare un grande complimento al giornalista che ha scritto queste righe che rispecchiano la nostra situazione. In trenord c’è una stampa di regime con scrittori salariati per screditare il quotidiano impegno dei lavoratori. Capitreno che lavorano 10 ore al giorno, da soli, scortando treni sovraffollati con la responsabilità civile e penale delle migliaie di persone trasportate! Biesuz dichiara che lavoriamo 3 ore al giorno e dimostra ancora una volta di non conoscere minimamente il nostro lavoro e di non rispettare i lavoratori di Trenord, il lavoro e il cliente finale che si ritrova un servizio pessimo! Per questo noi scioperiamo, per il nostro futuro e per il futuro dei nostri clienti!
Complimenti al giornalista che ha reso bene i problemi di noi dipendenti Trenord… purtroppo la regione Lombardia ha messo a capo di Trenord un uomo che se ne frega dei lavoratori discreditandoli di fronte l’opinione pubblica e sminuendone le fatiche e le responsabilità con affermazioni che non corrispondono minimamente al vero.
Non esistono turni di tre ore in trenord e questo va ribadito, come non è possibile fare dieci ore di lavoro e essere sempre attenti e vigili ai segnali ferroviari e a mille altre pequliarità del nostro mestiere.