Lo scorso luglio, per celebrare i due anni dall’inizio dei lavori della nuova autostrada BreBeMi, c’era anche il cavalier Paolo Pizzarotti, a capo della società incaricata della realizzazione dell’opera. Pizzarotti è Presidente del Consiglio d’Amministrazione di “Mipien” e della controllata “Impresa Pizzarotti & C.”, ovvero uno dei dieci colossi assoluti tra le imprese di costruzione generale, titolare di una quota pari al 3 % della stessa società BreBeMi. I suoi interessi in provincia di Bergamo non si esauriscono però nella realizzazione dell’autostrada. La società di Pizzarotti controlla infatti anche il 24 % del consorzio CEPAV 2, incaricato da Ferrovie dello Stato, senza gara d’appalto (e con un preventivo “record” di 35 milioni di euro al chilometro), della realizzazione del tratto ferroviario ad alta velocità tra Treviglio e Brescia. Se i finanziamenti pubblici al progetto della nuova autostrada, che dovrebbero provenire dalla Cassa Depositi e Prestiti, rappresentano allora un autentico “colpo di fortuna” (viste le difficoltà a reperire finanziamenti sufficienti presso gli istituti bancari), l’impiego a vantaggio di BreBeMi di 175 milioni di euro stanziati per l’alta velocità appare un vero e proprio miracolo. Pizzarotti ci guadagnerà due volte: socio della società BreBeMi incaricato della realizzazione dell’autostrada e socio del consorzio CEPAV 2 incaricato della realizzazione della nuova linea ferroviaria. La questione merita dunque un approfondimento, a partire dal quesito più impellente: chi è Paolo Pizzarotti?
L’affermazione del Gruppo Pizzarotti risale al boom economico degli anni ’60, attraverso le opere realizzate per enti pubblici come ANAS e Cassa del Mezzogiorno o nel campo dell’aeronautica civile e militare. Nel suo curriculum la Pizzarotti annovera alcune opere di grande rilievo realizzate sul territorio europeo: buona parte del parco dei divertimenti di EuroDisney a Marne La Vallee, il nuovo modulo di scambio ferroviario dell’aeroporto Charles de Gaulle a Parigi, ma anche, nell’ambito di un consorzio italo-svizzero, la galleria del San Gottardo. Il gruppo è presente nel continente africano, sempre nel campo delle grandi infrastrutture, mentre in Italia è orientato soprattutto su autostrade e alta velocità ferroviaria. A livello nazionale, l’azienda parmense è poi una delle principali aziende contractor delle forze armate USA. La Pizzarotti, alla fine degli anni ’70, ha realizzato alcune infrastrutture per la base di Sigonella, quando quest’ultima era sede operativa della Rapid Deployment Force, e, a metà del decennio successivo, per la base di Cosino, utilizzata per l’installazione di 112 missili a testata nucleare Cruise. L’azienda ha eseguito ristrutturazione e ampliamento delle banchine della base di Santo Stefano, fino al 2008 utilizzata come base d’appoggio per i sottomarini nucleari di stanza nel Mediterraneo, e sono da attribuire alla Pizzarotti anche le strutture residenziali per militari di Ederle e Belpasso e gli interventi ad Aviano e Camp Darby. Insomma, una collaborazione intensa quella con le forze armate USA; chissà se la politica estera statunitense degli ultimi anni avrà creato a Pizzarotti qualche problema di coscienza..
Certo è che le obiezioni etiche non sembrano scalfire l’iniziativa di Pizzarotti. Il suo gruppo è attualmente coinvolto nella realizzazione della tratta ad alta velocità tra Gerusalemme e Tel Aviv. La linea attraverserà i territori palestinesi occupati in totale spregio del diritto internazionale, che vincola l’utilizzo dei territori occupati a ragioni di sicurezza o a beneficio della popolazione ivi residente. Si tratta infatti di un’opera ad uso civile, a cui per di più la popolazione palestinese non avrà alcun accesso, visto che non sono previste stazioni da essa fruibili. Un’altra questione riguarda l’utilizzo dei materiali prodotti da carotaggi e scavi: si stima che per la realizzazione dei tunnel saranno estratti dal suolo palestinese oltre un milione di metri cubi di materiali, ma il diritto internazionale vieta esplicitamente lo sfruttamento delle risorse naturali dei territori occupati. Inoltre, i lavori interessano le aree di Yalu, Bet Surik e Bet Iksa, dove i terreni agricoli sono stati espropriati senza rispettare le disposizioni di legge israeliane e i ricorsi sono stati sistematicamente respinti. La comunità di Beit Surik, dove il tracciato ferroviario taglia la strada per raggiungere le coltivazioni, perderà oltre il 30 % del terreno agricolo che, in una economia di sussistenza già fortemente provata dalla costruzione del muro, rappresenta una risorsa vitale. Il Segretario Generale della “Federazione Italiana Lavoratori Legno Edili e Affini” Walter Schiavella ha scritto a Pizzarotti affinché l’azienda riconsideri la partecipazione ad un progetto che «viola i diritti fondamentali e le risoluzioni delle Nazioni Unite». Dal cavaliere, però, non è giunta alcuna risposta.
Tornando invece sulle infrastrutture realizzate dalla Pizzarotti per le forze armate USA, una recente vicenda pare degna di nota. Il Villaggio degli Aranci di Mineo, sorto come centro residenziale per le famiglie dei militari di stanza a Sigonella, è stato requisito dal Governo italiano nel marzo del 2011 per fare fronte all’emergenza dei profughi e delle profughe provenienti dai paesi del Maghreb. Un’emergenza “provvidenziale” per Pizzarotti (proprietario delle strutture), considerato che le forze armate USA non avevano rinnovato il contratto d’affitto lasciando il Villaggio degli Aranci privo di destinazione. Provvidenziale, si diceva; a maggior ragione perché il debito contratto dal gruppo con Intesa–San Paolo per finanziare l’opera, ad oggi, non è ancora stato estinto. Per ora, non si conoscono gli estremi economici dell’operazione, ma i dati forniti dal Ministero della Difesa statunitense parlano di un canone di locazione di 8 milioni e mezzo di euro. Un colpo di fortuna non indifferente, che ha lasciato però alle sue spalle un fastidioso strascico di polemiche. Il Ministro della Difesa Ignazio La Russa aveva infatti già fornito al Governo una lista di 14 siti che potevano essere impiegati come centri d’accoglienza e tra i quali il Villaggio degli Aranci non figurava. Diverse voci si sono levate allora per interrogare il Governo sulle motivazioni che hanno fatto ricadere la scelta del sito proprio sul centro residenziale di Pizzarotti. In effetti, la domanda sembra più che legittima.
Contributo di attakkabrighe