Si è già detto dell’irresistibile affermazione del Gruppo Pizzarotti, colosso assoluto tra le imprese di costruzione generale, e di come il nome del gruppo sia associato alla realizzazione dell’alta velocità nei territori occupati palestinesi, in spregio al diritto internazionale, e di svariate infrastrutture militari statunitensi nel territorio italiano. Nell’ascesa del cavalier Pizzarotti vi sono stati però anche momenti difficili: il gruppo imprenditoriale è stato coinvolto in svariate inchieste della magistratura e ha dimostrato non poche difficoltà a restare impermeabile alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Ecco i lati d’ombra del gruppo a cui è affidata la realizzazione di BreBeMi e alta velocità nella Provincia di Bergamo.
Il nome del cavalier Pizzarotti balzò agli onori della cronaca nel corso della bufera di Tangentopoli. A marzo del 1993 Pizzarotti finiva a San Vittore in relazione a presunte irregolarità nell’assegnazione di alcuni appalti dell’ANAS. Scarcerato il giorno seguente dal GIP Italo Ghitti veniva subito raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare con l’accusa di corruzione e in riferimento all’appalto relativo l’autostrada tra Bolzano e Merano. Pochi giorni dopo la nuova scarcerazione emergevano indiscrezioni circa le rivelazioni fatte dal cavaliere ai magistrati, al cui cospetto Pizzarotti avrebbe ammesso il pagamento di una tangente miliardaria al dirigente democristiano Franco Bonferroni. In aprile, ancora, Pizzarotti veniva raggiunto dall’ennesimo ordine di custodia cautelare, emesso questa volta dal magistrato Gherardo Colombo, in relazione a presunti finanziamenti illeciti per un appalto sull’autostrada tra Parma e La Spezia e per i lavori alla centrale ENEL di Montalto. Negli anni seguenti arrivarono le assoluzioni, anche se, a settembre del 1994, Pizzarotti, accusato di corruzione per gli appalti del progetto aeroportuale “Malpensa 2000”, patteggiava una pena di un anno e un mese e 560 milioni di lire di risarcimento.
A settembre del 2011, la Pizzarotti è tornata a destare l’interesse della magistratura. L’ex Sindaco di Parma Pietro Vignali e la sua Giunta, decapitata nei mesi precedenti dallo scandalo esploso attorno a presunti episodi di corruzione, sono attualmente indagati, insieme ai vertici del Gruppo Pizzarotti, con l’accusa di abuso d’ufficio e violazione della normativa sugli immobili di interesse storico. L’ipotesi è che la Giunta abbia favorito Pizzarotti nell’aggiudicazione dei lavori per la riqualificazione dell’ospedale vecchio. Il Procuratore della Repubblica Gherardo Laguardia ha spiegato che «nel caso in cui alla gara di un appalto di un project financing partecipi una sola ditta la normativa prevede che l’importo di aggiudicazione sia vincolante». Nella delibera votata in Giunta il 27 maggio 2010, invece, «è stata inserita una clausola speciale che prevede la revisione delle condizioni economiche del project financing, in base alla variazione delle condizioni di mercato se risultassero tali da non rendere sostenibile il risultato atteso dal piano economico». In parole povere, la cifra prevista dal piano di progetto presentata dalla Pizzarotti (prossima ai 15 milioni di euro), sulla base della quale la stessa era stata incaricata dei lavori dall’Amministrazione, era di fatto rivedibile, per eccesso ovviamente. Inoltre, stando alla relativa sentenza del Consiglio di Stato, non si sarebbe trattato di un intervento di restauro, come previsto dalla convenzione, bensì di una (di gran lunga meno vincolante) ristrutturazione.
Diverse vicende intercorse negli ultimi due decenni rivelano poi le difficoltà del gruppo a mantenersi impermeabile alle pressioni della criminalità organizzata nella gestione dei grandi appalti e soprattutto nella selezione delle società subappaltatrici. Negli anni ’90, le parole pronunciate dal pentito Pasquale Galasso di fronte alla Commissione Parlamentare Antimafia sembravano individuare in alcune società, tra cui proprio la Pizzarotti, le vittime di un sottile gioco estorsivo, che vedeva da una parte dirigenti democristiani e dall’altra figure di primissimo piano della camorra, come Raffaele Cutolo e Carmine Alfieri. L’ipotesi sembrò confermata nel 2003, quando il Dipartimento Distrettuale Antimafia di Napoli portò alla luce l’attività d’estorsione e intimidazione orchestrata dalla camorra dei casalesi ai danni del Gruppo Pizzarotti e di altre imprese di livello nazionale, anche in regioni del paese tradizionalmente non soggette al controllo della criminalità organizzata. In una circostanza ricostruita nel corso delle indagini il responsabile locale della Pizzarotti fu addirittura prelevato e condotto al cospetto del boss Francesco Bigognetti, che impose l’assegnazione di alcuni subappalti ad aziende gradite alla camorra.
Nella puntata della trasmissione di RaiTre “Report” di domenica 14 marzo 2010, veniva ricostruito come, nell’ambito dei lavori per la realizzazione dell’autostrada tra Catania e Siracusa, la Pizzarotti, general contractor dell’opera, avesse subappaltato la fornitura di calcestruzzi a Unical Calcestruzzi, rifornita presso la cava della società COPP di Vincenzo Ercolano. Quello della famiglia Ercolano in Sicilia è un cognome che pesa: Giuseppe Ercolano è stato condannato per associazione mafiosa e il figlio Aldo è attualmente detenuto in regime di 41 bis, con l’accusa, tra l’altro, di aver assassinato il giornalista Giuseppe Fava. Nel maggio del 2005, la Pizzarotti aveva in effetti inviato alla Prefettura la lista delle società subappaltatrici, ma la comunicazione dell’Ufficio Territoriale di Governo circa l’inadeguatezza della COPP giunse solo 9 mesi più tardi l’inizio dei lavori. La società degli Ercolano continuò però ad operare per altri 5 mesi attraverso un altro fornitore, la società Cosap, per via di quella che Sergio Bardieri, direttore tecnico della Pizzarotti, ha definito una “svista”.
Considerati i timori espressi da più parti circa i rischi di infiltrazione mafiosa nei grandi appalti pubblici lombardi in vista di Milano Expo 2015, ce ne abbastanza per nutrire fondata preoccupazione. Certo è che, per le grandi opere della nuova autostrada BreBeMi e della tratta ad alta velocità tra Treviglio e Brescia, nei prossimi anni pioveranno sulla provincia di Bergamo miliardi di euro e i trascorsi dell’azienda di Pizzarotti non costituiscono proprio un antefatto rassicurante.
Contributo di attakkabrighe