Dall’autunno dell’anno scorso si è atteso fino al 6 maggio di quest’anno per assistere ad uno sciopero generale di 4 ore della CGIL. Se a sorprendere in quell’occasione fu l’oggettivo ritardo nel recepire le istanze della base e del movimento insorgente contro il governo, oggi sorprende la celerità della Camusso, che non esita nella proclamazione di uno sciopero generale di 8 ore, con le scuole ancora chiuse, per giunta a due mesi di distanza dalla firma del fatidico accordo con CISL, UIL e Confindustria del 28 giugno (che introduce, per altro, la possibilità di derogare al contratto nazionale). Il tentativo sembrerebbe quello di limitare la portata dello sciopero, riaffermando l’atteggiamento “responsabile” del sindacato, ma anche rammentando al governo la ferma volontà di sedere al tavolo del confronto. Eppure i movimenti di base sembrano esprimere una necessità nuova e differente, che muove ben oltre la contingenza dello sciopero generale e le logiche concertative della mediazione con il governo. L’occupazione di piazza Affari a Milano sorpassa il dibattito attorno al risanamento del debito e afferma una volontà dirompente: respingere al mittente la stessa logica del debito. L’iniziativa dei sindacati di base e dei movimenti mette in discussione la legittimità di governo e creditori: chi ha prodotto la crisi finanziaria non può indicarne la soluzione. Anche a Bergamo, la partecipata manifestazione è stata attraversata da una richiesta spontanea di mobilitazione permanente. Uno striscione e manifesti affissi lungo il percorso indicavano la data del 17 settembre per una mobilitazione in Piazza Vittorio Veneto, per trasformarla in piazza di resistenza contro la crisi, in concomitanza con le manifestazioni che in tutto il mondo assedieranno i templi della finanza.