Cooperative di precarietà

#machetilamenti – Caro Bgreport,

sono una mamma e sono precaria, così mi viene da definirmi quando uno me lo chiede. Lavoro per una cooperativa sociale e quando ho saputo di aspettare un bambino ho preso il congedo che mi spettava. Al lavoro non hanno neppure troppo mugugnato, qualcuno ha detto “buon per te, male per noi”, ma come fai a sentirti in colpa quando ti trovi in una condizione così. Fatto sta che a settembre rientrerò al lavoro e quelli della cooperativa mi hanno già chiamata. Dobbiamo rivedere la tua mansione e probabilmente il tuo contratto, hanno detto. Mi hanno anche ricordato che a dicembre il mio contratto scade. Detta così sa quasi di minaccia. O forse lo è per davvero?

Anche il padre del mio bambino, Mario, lavora in una cooperativa sociale come educatore. A dicembre ci nasce il bambino, i suoi dirigenti lo chiamano, vengono a casa nostra a visitare il piccolo. Poi a febbraio lo richiamano: guarda è colpa delle Amministrazioni Comunali ma non abbiamo più ore per te. Così gli riducono il contratto da 38 ore a 20 da un giorno all’altro e pace all’anima sua, mia e del bambino. È colpa delle Amministrazioni comunali, d’altronde. A quel punto guadagno più io con il mio assegno familiare che lui.

Io però gli dico di andare dai sindacati, di farsi sentire, lui non ci va però. “È una buona cooperativa, qualcosa d’altro lo trovano per me”. Come fai a pensare il contrario? Siamo qua il giorno prima che brindiamo e festeggiamo, mica possono tirarmi un colpo del genere. E difatti a Marzo lo convocano un’altra volta, “abbiamo di nuovo trovato le ore per te” gongolano al telefono. Mario mi lancia uno sguardo di rimprovero e il giorno dopo è alla sede della cooperativa. “Non riusciamo a ridarti il tempo pieno ma abbiamo un pacchetto ore per te”. Lunedì e martedì sarà a Osio per seguire un ragazzo disabile, l’orario è dalle sette e mezzo alle nove  e dalle dodici alle due. Venerdì gli hanno piazzato una notte in una comunità per minori. Inizia alle otto di sera e finisce il giorno dopo alle otto e mezza. Purtroppo, gli spiegano, da contratto nazionale le notti degli educatori sono pagate solo 25 euro cadauna. Di notte comunque si dorme, lo rassicurano, per cui non è necessario pagarti il notturno per le ore che stai dormendo. Un domenica si è una no, infine, è occupato per dodici ore in un altro progetto per disabili, sempre della stessa cooperativa.

Questo nuovo monte ore va a incastrasi con quello delle venti ore precedenti che gli occupava tutti i pomeriggi, da lunedì a sabato.

Così ora ha recuperato quasi tutte le ore per formare un tempo pieno, e quelli della cooperativa possono stare sereni. Però la qualità della sua vita e della mia e del bambino non è più la stessa. Ma non è tempo di lamentele. Ora tocca a me!

Questa è l’ultimo mese, poi sono io a avere un colloquio con il mio responsabile. E cosa gli dico se mi fanno una proposta come quella di Mario? Gli dico di no? A dicembre sono fuori e dietro di me c’è gente che spinge per avere il mio posto.

Così me ne sto qui, mando curriculum perché non sono fessa, ma una neo mamma non la si assume così facilmente.

Comunque non mi lamento, mi hanno pure chiesto di diventare socia. Duemila euro di quota associativa. “Vogliamo investire su di te” dicono, sempre belli allegri, belli sorridenti. Come fai a dirgli di no? La partecipazione, l’impegno sociale, la responsabilità della comunità fanno parte di questo lavoro. Però, avvertono, il contratto prescinde da tutto ciò. Quello lo si discute a parte. Sarà vero? Se pago e divento socia, ho qualche possibilità che mi confermino. Ma se non pago, cosa succede?

Beh! Faremo qualche conto, fra biberon, pannoloni, indennità che arrivano in ritardo, nonni che sganciano qualcosa…

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