Bergamo – Un proiettile calibro .22 sparato da un soldato israeliano con un fucile da cecchino, poi la corsa all’ospedale di Ramallah e l’intervento chirurgico che gli ha miracolosamente salvato la vita. È una storia sconvolgente quella accaduta a un agronomo trentenne di Bergamo: una storia di ordinaria follia come tante ne accadono quotidianamente nei territtori occupati da Israele. Il fatto risale a tre settimane fa, ma solo oggi, dimesso dall’ospedale da pochi giorni, il giovane è potuto uscire allo scoperto annunciando l’intenzione di muovere causa all’esercito di Israele. Il fatto risale a venerdì 28 novembre, quando prendeva parte ad una manifestazione di protesta a Kafr Qaddum, villaggio della Cisgiordania settentrionale immerso tra gli ulivi. I motivi della protesta che la comunità locale ripropone ogni venerdì sono noti: dal 2012 Israele ha tagliato il collegamento del villaggio con la strada principale che conduce a Nablus per garantire la realizzazione dell’insediamento illegale di Qedumim. La comunità di Kafr Qaddum conduce da tempo una battaglia per avere nuovamente accesso alla strada principale e continuare a vivere nel proprio villaggio, ed ha ricevuto aperto sostegno persino dall’ex Presidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini.
Di fronte alla legittima rivendicazione della comunità di Kafr Qaddum l’esercito israeliano ha deciso nell’ultimo mese di usare la mano pesante: venerdì 5 dicembre, sempre durante la protesta settimanale, un giornalista di Palestinian TV è stato gravemente ferito dai militari in una dinamica del tutto analoga. In entrambi i casi, il “bersaglio” indossava pettorine “ad alta visibilità”, le vistose uniformi che giornalisti e osservatori internazionali utilizzano nella Striscia per segnalare la propria presenza. Inoltre, malgrado quanto dichiarato da fonti israeliani, il proiettile che ha colpito il giovane sarebbe l’unico colpo sparato in quella giornata: non una pallottola vagante perciò, ma un colpo sparato di proposito (e a pochi millimetri dal cuore). La legge israeliana vieta all’esercito di ricorrere a proiettili calibro .22 per attività di ordine pubblico, e, in ogni caso, di sparare se non in condizioni di concreta minaccia alla vita. La domanda a questo punto è spontanea: che tipo di minaccia può aver recato una persona disarmata che sorreggeva una bandiera palestinese? Nessuna, chiaramente, e le immagini che documentano l’accaduto e che pubblichiamo in questo articolo non sembrano lasciare margini di interpretazione.
D’altra parte, la natura stessa del viaggio dell’agronomo bergamasco nella Striscia è tutt’altro che “minacciosa”. Laureato in Scienze Agrarie all’università di Bologna, Patrick (questo il nome di comodo da lui scelto per proteggere l’identità ed evitare l’allontanamento forzato dai territori palestinesi) si è specializzato in “sicurezza alimentare” attraverso un percorso formativo di tutto riguardo: master nel Regno Unito, esperienza di cooperazione in Zambia nell’ambito di progetti di sviluppo rurale e, infine, stage alla sede FAO di Roma, dove il suo progetto vince il premio “Innovative Ideas to Feed the World”. Ma, come lui stesso spiega, è una mozione ideale a spingerlo lontano dalla «torre d’avorio delle Nazioni Unite», a cercare nella pratica sul campo, dal basso, il senso del proprio lavoro. È a questo punto che nasce l’idea della Palestina e l’interesse per l’ulivo-coltura, perché nella Striscia l’ulivo è la coltivazione più comune «ma anche e soprattutto un simbolo di resistenza». Lo sapeva bene il ministro palestinese Ziad Abu Ein, che della difesa degli ulivi aveva fatto una battaglia, e che per essi ha perso la vita settimana scorsa, durante una manifestazione per difendere la terra agricola che Israele continua a espropriare illegalmente.
Patrick è giunto in Palestina l’ottobre scorso, ha preso contatti con la stessa associazione cui prima di lui aderì Vittorio Arrigoni, ha partecipato alla raccolta delle olive nell’area di Nablus. Partito con la sua bicicletta quasi due anni fa, Patrick ha viaggiato dalla Spagna alla Grecia lungo tutta l’Europa mediterranea alla scoperta dell’arte di coltivare l’olio di oliva. Un lungo percorso finalizzato ad acquisire conoscenze, e poi dritto in Palestina «con la zappa sulla spalla», per dare una mano e proseguire al contempo la sua personale ricerca agronomica sull’olivo-cultura. Negli ultimi due mesi Patrick ha così raccolto interviste e preso parte alla realizzazione di un documentario sulla “Palestinian Fair Trade Association”, la prima organizzazione “fair trade” al mondo di piccoli produttori di olio di oliva. Patrick ci fa notare il paradosso che vive il popolo palestinese: «che abita la terra degli ulivi, ma che è costretto dall’occupazione israeliana a importare olio dai paesi europei». Che intanto, ovviamente, ci guadagnano. Ed è con grande semplicità che l’agronomo bergamasco spiega il senso che concetti altrimenti astratti come “sviluppo rurale” e “sicurezza alimentare” assumono in quel luogo, e il rapporto tra agricoltura e resistenza che ne deriva.
Patrick non ha peli sulla lingua, e chiama in causa apertamente le responsabilità dell’Unione Europea; responsabilità che riguardano il commercio dell’olio di oliva, ma anche il silenzio internazionale di fronte agli abusi quotidiani dell’esercito israeliano. Patrick solleva alcune questioni anche sul suo caso, che a loro volta ci suggeriscono degli interrogativi urgenti. Che provvedimenti intende assumere il governo italiano in merito al gravissimo episodio che ha riguardato Patrick? La Farnesina fornì tempestiva comunicazione di quanto accaduto, a dimostrazione che vi è conoscenza dei fatti già da tempo: possibile che il governo italiano non abbia indirizzato alle autorità israeliane alcuna richiesta di chiarimenti? Decine di volontari e volontarie italiani svolgono in quei luoghi un prezioso compito di aiuto: il governo italiano intende tutelare il lavoro dei suoi cittadini e delle sue cittadine nella Striscia ed in Cisgiordania? Proprio questa settimana, con il meeting di Roma, il governo Renzi ha inteso affermare per sé un ruolo di mediazione diplomatica nel conflitto tra Israele e Palestina; di che autorevolezza e fermezza dispone un governo che rinuncia a fare valere i diritti di un proprio cittadino in quegli stessi luoghi? Non si tratta di questioni di poco conto, a ricordarcelo c’è un proiettile calibro .22 e una canna di fucile ancora fumante.
Bellissimo e importante articolo di denuncia, ma… una cosa sola: che cosa c’entra la Striscia di Gaza con Kafr Qaddum che – come giustamente scrivete – è in Cisgiordania?
Grazie
E’ un refuso, abbiamo provveduto a correggere.
La redazione
Olivo simbolo di pace… simbolo della Palestina… simbolo della resistenza…una delle piante arboree coltivate piu’ antiche… pianta sacra in tutte e tre le religioni monoteiste… talmente sacra per i greci che si prevedeva la pena di morte a chi espiantava un olivo sacro… il dono dei vincitori delle olimpiadi erano ingenti quantita’ di olio d’oliva… pianta medicinale…l’olio d’oliva acquisiva l’importanza del gasolio di ora… luce , energia, cibo , cosmetico e medicinale… in Palestina simbolo di RESISTENZA!!!! Yasser Arafat 13 november 1974 in the United Nations General Assembly: “Today I have come bearing an olive branch and a freedom fighter’s gun.” he proclaimed, “Do not let the olive branch fall from my hand.”