Bergamo – E’ stata una visita brevissima quella di Mario Monti a Bergamo; poco più di un’apparizione nel deserto di una piazza blindata già da 24 ore. Meno di un’ora di cerimonia in totale, che però non è passata inosservata. Annunciata da due settimane e anticipata da diverse azioni di richiamo, la protesta restituisce infatti il dato più significativo della giornata. Se il premier pensava di ricorrere al giuramento della Guardia di Finanza per stemperare il responso delle ultime amministrative con la retorica della lotta all’evasione fiscale, Bergamo ha tradito ogni sua aspettativa. Poco meno di un migliaio di persone hanno attraversato la città scorrendo lungo i confini della zona rossa per raggiungere piazza Porta Nuova e inscenare la contestazione a 100 metri dalla tribuna delle autorità. Intanto, dallo stesso pubblico accorso per il giuramento dei cadetti giungevano fischi e cori di protesta. Molto più che una mobilitazione testimoniale: Monti ha dovuto più volte interrompere il discorso e alzare il tono di voce per non essere totalmente offuscato. Nell’impossibilità di ignorare le proteste il premier, rivolto alla manifestazione, ha fatto al fine ricorso all’unico fragile argomento a sua disposizione: «La lotta all’evasione non si fa con vacue parole o con forme di protesta».
Già, ma le parole d’ordine della manifestazione hanno sollevato questioni che con l’evasione fiscale c’entrano poco. Una valanga di cartelli, striscioni, manifesti e stancil hanno gridato alla città l’insostenibilità delle politiche di austerity, di tagli alla spesa sociale e attacchi ai diritti del lavoro. L’accento è stato posto così sulla sostanziale continuità politica del governo Monti con chi ha governato l’Italia negli ultimi vent’anni. Dalla riforma del lavoro allo smantellamento del welfare, per giungere alle annunciate privatizzazioni, si riconferma la ricetta liberista che ha condotto il paese sull’orlo del baratro e ora, pure nell’evidenza delle sue contraddizioni, viene riproposta come terapia per salvare l’Italia dal suo debito pubblico e dalla crisi globale. Ma c’è qualcosa di più. Il carattere meticcio e intergenerazionale della manifestazione, così come l’ampiezza della sua composizione, forniscono una sintesi della diffusa conflittualità sociale che attraversa il paese: dagli studenti e dalle studentesse del Book Block alle incursioni dei V. mascherati, dai settori “dissidenti” delle sinistre al sindacalismo di base, dal precariato metropolitano alle famiglie senza casa, dalle incertezze di chi teme per la propria pensione alle nuove generazioni migranti.
Non si tratta di una saldatura contingente. Tra le parole d’ordine del Comitato “Adesso Basta”, costituitosi in vista della mobilitazione di stamani, enfasi è stata posta infatti sul percorso di costruzione dello sciopero generale dal basso. A prendere la parola sono allora le lotte reali, ben oltre il silenzio attendista dei sindacati confederali. Tutt’altra cosa rispetto alla trovata leghista dello striscione contro Monti trascinato da un aeroplano monomotore. Osservato da qua giù, quell’aeroplano comunicava con immediatezza la distanza enorme del movimento padano dal paese reale. La distanza tra un passato di liberismo e fumo negli occhi e un futuro conteso, che prefigura la disposizione delle parti in gioco sul terreno dello scontro a venire.
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