La signora Rita vive da anni in una casa popolare nel comune di Palosco, da quando vi si trasferì dalla Calabria insieme al marito.
Dieci anni fa il marito di Rita muore e nel 2005, all’età di sessant’anni, perde il lavoro e rimane disoccupata fino al 2009. Durante quei quattro anni Rita non riesce più a pagare regolarmente l’affitto dell’alloggio e accumula un debito di 1.729 euro nei confronti del Comune, e quando nel 2010 la donna trova lavoro (anche se in condizione di grande precarietà e con un salario variabile dai 600 agli 800 euro al mese) rincomincia a pagare il debito. Nonostante questo viene portata in tribunale dal sindaco di Palosco a causa di una citazione di sfratto per morosità. Il giudice convalida lo sfratto ma i legali del Comune, non contenti, pignorano lo stipendio della donna trattenendole una parte dello stipendio.
La situazione degenera negli ultimi mesi di quest’anno quando il sindaco, nonostante Rita abbia quasi totalmente estinto il debito, decide di dare corso allo sgombero della casa, offrendo alla signora in alternativa un appartamento nel medesimo stabile nel quale lei già risiede, il quale tuttavia è inagibile.
Lo stabile, di proprietà del comune, è un palazzo su due piani con un ampio giardino condominiale sul retro ed è costituito da 12 appartamenti, quasi tutti sfitti.
Da dove nasce quindi la volontà del comune di Palosco di sfrattare la signora? L’amministrazione leghista vuole vendere una parte degli alloggi a canone sociale, fra cui quello di Rita, per risanare le casse del comune, provate dai tagli ai trasferimenti economici decisi dal governo.
Nella mattinata del 26 settembre sarebbe dovuto avvenire lo sfratto della signora Rita. All’arrivo dell’ufficiale giudiziario tuttavia oltre a Rita c’era un nutrito numero di persone solidali che hanno impedito lo sfratto immediato.
Lo sfratto è stato rimandato al 3 novembre.