Caro bgreport, parliamo di lavoro.
Da quando avevo 19 anni ho sempre fatto i lavori più disparati: la barista, la baby sitter, l’aiuto artigiana, la cassiera di una discoteca etc. non è una passione smisurata quella che ho per il lavoro dipendente o subordinato, ma piuttosto una condizione in cui mi sono trovata costretta a vivere per riuscire ora a 23 anni ad uscire da casa dei miei genitori e mantenermi all’università.
Ovviamente restano la paura e l’ansia quotidiana di vedere la mia vita appesa al filo del reddito precario ed intermittente.
Ma ancora non mi era successo di lavorare un mese in un bar del centro di Bergamo per poi esser lasciata a casa, senza alcun motivo, da un giorno all’altro con una telefonata di una collega. Purtroppo (per loro spero!), nonostante le promesse, il contratto di assunzione non si era mai visto durante tutto il mese lavorativo e al momento del “licenziamento” non mi era stata garantita alcuna retribuzione.
Mi sono quindi rivolta ad un sindacato che mi ha aiutata nei successivi 8 mesi a barcamenarmi tra centri per l’impiego e uffici del Ministero del lavoro. Durante questa epopea, il mio ex datore di lavoro ha elaborato vari escamotage per spuntarla nella controversia, come tentare di farmi figurare assunta nel comune di Milano oppure facendomi chiamare da un agenzia interinale che voleva consegnarmi una busta paga, di cui non ero nemmeno a conoscenza, 3 giorni dopo la lettera d’avviso del sindacalista.
Lottando sono riuscita a far valere i miei diritti ma purtroppo nella mia storia l’incertezza è una costante. Negli ultimi mesi, aspettando l’esito della vertenza, ho dovuto come in passato barcamenarmi nei lavori più improbabili.
Non si tratta di impieghi per cui mi sono formata all’università ma di lavori di cui mi interessa solo la retribuzione per potermi permette di pagare l’affitto a fine mese.
L’unica certezza è la frustrazione che provo sapendo che non mi sto costruendo un futuro lavorativo costante e soddisfacente.