San Giovanni Bianco – Una 24 ore di preghiera “contro aborto ed eutanasia”. La organizza l’associazione No194, una delle tante sigle della galassia cattolica-antiabortista che periodicamente si occupano di promuovere iniziative “a sostegno della vita”, venerdì 9 novembre fuori dall’ospedale di San Giovanni Bianco, in Val Brembana.
Un’iniziativa contro la legge 194, colpevole di aver “in 34 anni, soppresso quasi sei milioni di bimbi concepiti, 505 ogni giorno”, così recita il volantino degli organizzatori della manifestazione. Messa così potrebbe sembrare una delle uscite pubbliche (non infrequenti, purtroppo) di quei gruppi antiabortisti che periodicamente richiamano l’attenzione sul tema, con scarse presenze in termini di numero di aderenti e un linguaggio che ormai ha superato il confine del macabro. Ma se i termini della chiamata a manifestare e le modalità di esprimersi possono dare l’idea di piccoli gruppi dalla forte ideologia e dallo scarso radicamento nell’opinione pubblica, c’è però un “lato B” della faccenda che è tutt’altro che trascurabile o marginale, perché iniziative come questa si inseriscono in un contesto (italiano ma soprattutto bergamasco) che sulla questione aborto è a dir poco preoccupante: la legge 194 (che di aborto si occupa ma non solo, perché la sua applicazione la rende una normativa di tutela della maternità consapevole e della salute delle donne) è costantemente sotto attacco e la sua applicazione concreta all’interno degli ospedali è sempre più complessa a causa dell’altissimo numero di ginecologi obiettori di coscienza che possono scegliere di non praticare interruzioni di gravidanza. Come dire: sei incinta e la legge prevede che tu possa decidere di non portare a termine la tua gravidanza? Formalmente ne hai diritto ma faremo di tutto per metterti i bastoni tra le ruote.
Succede così che in alcune strutture ospedaliere, una per tutte i Riuniti di Bergamo, i ginecologi disponibili ad applicare la legge siano praticamente delle mosche bianche e la situazione sia resa ancor più grave dalla presenza di una sede del Movimento per la vita all’interno delle corsie del reparto di Ginecologia: i volontari e le volontarie del movimento antiabortista mettono in atto quotidianamente una pressione psicologica molto invadente nei confronti delle donne che scelgono di abortire, spesso supportati da metodi poco consoni (per usare un eufemismo) di medici e infermieri (tempi per le pratiche che si dilatano, ricoveri “strategici” in camere con la presenza di bambini appena nati, mancanza di informazione completa sulle possibilità di assistenza).
Ma non basta: recentemente ci si è messo anche il ministero della Salute. All’inizio di ottobre il ministro Balduzzi ha presentato la relazione annuale sull’applicazione della 194 e quella che dovrebbe essere una “rituale” relazione tecnica (fatta da un ministro tecnico) si è trasformata in una valutazione politico-morale: Balduzzi si è detto felice di poter constatare che nell’ultimo anno preso in esame gli aborti sono calati rispetto all’anno precedente! Ma come, un ministro che dovrebbe verificare se e come la legge viene applicata (affrontando magari i diversi punti oscuri che comunque caratterizzano la 194 nella sua traduzione pratica, a cominciare dai tagli ai consultori che sono uno dei pilastri della normativa) si mette invece a dare giudizi lanciando non troppo tra le righe il messaggio “gli aborti devono diminuire”?!
Ma vai ad informarti e finisci per scoprire che Balduzzi è stato presidente del Movimento ecclesiale di impegno culturale, il che equivale a dire che ti piazzo un bel “pro-life” come ministro della sanità.
Ecco qual’è il contesto culturale e politico che rende allarmanti e pericolose manifestazioni come quella prevista per venerdì a San Giovanni Bianco, manifestazioni di arroganza pura e palese: perché in nome di un dio che non è di tutti si vuole decidere della pelle degli altri. In questo caso delle donne, a cui si vuole sottrarre il diritto all’autodeterminazione conquistato con la legge 194: il diritto a decidere di sé e del proprio corpo, della propria riproduzione e della propria salute.
Quando la legge non consente di abortire, si sa, le donne finisco per ammalarsi o morire grazie agli aborti clandestini (a meno che non abbiano i soldi per andare ad abortire all’estero). Quando qualcuno, in nome del suo dio, vuole fare scelte al posto di qualcun altro finisce il diritto e comincia il “fondamentalismo che si appropria dei corpi delle donne” (Melinda Cooper, “Life as surplus”).
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