RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO – É di poco più di un mese fa la notizia dell’ufficializzazione da parte della Federciclismo (e con la benedizione dell’Unione Ciclistica Internazionale) del Giro ciclistico della Padania, inserito nel calendario Europe Continental Tour. La corsa, il cui brand già era stato sfoggiato dal Trota in quel di Pontida, è stata presentata ufficialmente il 28 Luglio e sarà in programma dal 6 al 10 Settembre, toccando Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino e Veneto. Fatto alquanto singolare, dato che – per quanto ne sappiamo – la regione denominata “Padania” non esiste, se non nella mente bacata di qualche militante leghista. Men che meno una nazione con quel nome.
Altrettanto degno di nota il fatto che non si tratti di una semplice corsa per amatori di fede leghista ma di un evento a carattere internazionale riservato esclusivamente a ciclisti professionisti: l’inserimento nel calendario in categoria 2.1 Europe implica infatti la partecipazione di squadre di prima fascia, costrette a correrlo per ottenere punti nella classifica Europe Continental. Pensiamo quindi ai ciclisti baschi dell’Euskatel-Euskadi, team World Tour, legittimi cittadini di una Comunità Autonoma storica e riconosciuta, piuttosto che al siciliano Nibali, al francese Reza o al tunisino Ben Nasser costretti a vincere ed indossare la maglia verde col Sole delle Alpi. Terroni, negri, musulmani: i nemici giurati del popolo padano ora chiamati a correre per una maglia che rappresenta odio, razzismo e xenofobia? É giusto connotare in maniera così forte dal punto di vista politico un evento che dovrebbe rimanere “di tutti”, al di là del paese di provenienza o del colore della pelle e non lo specchio di un partito politico che non rappresenta tutti?
La manifestazione – bipartisan, dicono – nasce per volontà del leader della Lega Nord Umberto Bossi e si pone come ideale seguito della già famosa Monviso-Venezia, corsa per cicloamatori che si disputa a Settembre a cavallo tra l’altrettanto famoso rito dell’ampolla del Monviso e la festa dei popoli padani a Venezia, assai nota per le conseguenti esternazioni indipendentiste più o meno colorite dei vari leaders del Carroccio. É assolutamente inequivocabile quindi l’intento puramente politico e propagandistico con cui gli organizzatori hanno concepito la manifestazione, e ci sembra eccezionalmente fuori luogo che un’iniziativa del genere trovi riscontro istituzionale proprio nell’anno delle celebrazioni per il 150 anniversario dell’Unità d’Italia, come fatto peraltro durante il Giro.
La notizia ha suscitato scalpore nell’ambiente ciclistico e non solo. La Uisp – Unione Italiana Sport per Tutti – in una nota ufficiale ha espresso il proprio dissenso alla manifestazione, mentre Igino Micheletto, presidente della Federazione Italiana Ciclocross, lancia la sua critica dicendo che la Lega usa il ciclismo per fare propaganda, e auspica che “non ne esca una carnevalata deprimente e controproducente per tutto il nostro movimento in Italia e all’estero”. E mentre su Facebook il numero degli iscritti al gruppo “No al Giro della Padania” aumenta sempre di più, qualche semplice appassionato si è – giustamente – indignato per questa scelta, inviando una lettera ai principali organi ciclistici italiani e internazionali. Secondo loro questa scelta non si tratta “del classico celodurismo padano che da sempre sbandiera tradizioni storiche locali come fossero proprie invenzioni” ma che piuttosto “consista in una vera e propria campagna volta a rivendicare a livello internazionale la legittimità di una (peraltro inesistente) nazione denominata “Padania”, sfruttando biecamente una disciplina sportiva e apparendo così al mondo intero come una realtà ben definita, reale, accettata e – soprattutto – radicata, quando in realtà si tratta solamente di una boutade politica figlia del più becero opportunismo elettorale ed economico”. Opinione più che condivisibile: è evidente come in questo caso lo sport passa in secondo piano, soprattutto forte di una tale denominazione.
Pronta la replica della portavoce della società organizzatrice, la ASD Monviso-Venezia (che strano nome!), Delia Cipullo che – con evidenti problemi di forma e sintassi – si limita a confermare il carattere estremamente politicizzato della corsa, organizzata dall’on. Michelino Davico, sottosegretario leghista agli Interni con delega agli Enti Locali (e guardacaso già presidente della ASD Monviso – Venezia), ribadendo quanto la corsa tenda alla valorizzazione del territorio tramite la realizzazione di eventi sportivi con conseguente risultato di promozione delle attività produttive e del turismo delle località toccate dall’evento.
Niente di politico insomma. Infatti, andando a spulciare il sito della società dilettantistica, seppur si tratti poco più che di una bozza, si rivelano in maniera molto esplicita le autentiche intenzioni che hanno spinto gli organizzatori a dar vita al Giro della Padania. Intenzioni che – si legge – sembrano molto distanti dalla genuina promozione dello sport e del territorio: “Il leader leghista si è convinto delle potenzialità dello sport come veicolo di propaganda per quella nazione che da tempo proclama di volere la secessione dall’Italia.”. Il breve scritto di presentazione della corsa si conclude poi così: “Soprattutto, conclude Davico, nei 560 chilometri che separano le fonti del Po da Venezia, c’è il miglior promotore della Padania che noi possiamo sperare”(il corsivo è nostro).
La responsabile relazioni esterne conclude “per quanto attiene alla denominazione” che “essa è stata scelta come indicazione territoriale e geografica, così come esistono altre gare ciclistiche regionali (per es. Gran Premio Regio Insubrica, Vuelta a Comunitad Valenciana, Vuelta a Pais Vasco, la storica Berlino – Praga – Varsavia, Il Giro di Gran Bretagna, la Bicicleta Basca, Parigi – Nizza e, in Italia, Tirreno – Adriatico, Tre Valli Varesine, Brixia Tour, Settimana Coppi & Bartali) per la valorizzazione attraverso il messaggio universale di uno sport che si caratterizza spesso per la peculiarità di utilizzare non stadi, non velodromi, non impianti sportivi ma i percorsi naturali che le caratteristiche orografiche di ogni territorio offrono”.
Il fatto però che anche all’estero si svolgano competizioni ciclistiche legate a realtà locali – è il caso di ricordarle – non legittima l’uso (in questo caso strumentale) da parte di un partito politico di un termine che, al massimo, ha senso per un geografo attempato. Una Vuelta al Pais Vasco, un giro di Gran Bretagna, un Brixia Tour esistono in quanto vi sono comunità con un substrato culturale, storico e linguistico ben radicato nel tempo, condiviso e riconosciute al di là di ogni connotazione politica, in questo caso i Paesi Baschi, la Gran Bretagna e la provincia di Brescia.
Non sembra pensarla così il Presidente della Federciclismo Renato di Rocco. Che dice “per noi, per il ciclismo, la Padania è un territorio di forte tradizione e sviluppo del ciclismo ed una gara a tappa nuova con nuove risorse e nuove energie ed entusiasmo può unicamente arricchire la nostra attività”. E poi continua “una delle gare più antiche del calendario internazionale è il Gran Premio Liberazione creato da un organizzazione del giornale L’Unità e dal Partito Comunista Italiano e mai nessuno ha gridato allo scandalo.”
Sebbene sia alquanto spiacevole che un leader della Lega Nord strumentalizzi l’opportunità data dalla Federciclismo per dare credibilità ai fini secessionisti, è molto più spiacevole trovare il presidente di una Federazione Italiana – e che quindi dovrebbe tutelare la nazionalità di cui si fa rappresentante – che accetta la contaminazione politica di tale scelta. Cita poi il Gran Premio Liberazione associandolo al PCI, ma quella denominazione – è giusto ricordarlo – rifletteva, nell’Italia dell’epoca, un sentire comune che andava ben oltre gli steccati partitici: non crediamo che valga la stessa cosa quando viene usato il termine Padania.
E quando Di Rocco fa notare come non sia il caso di rifiutare a priori eventuali aiuti di provenienza politica forse giova ricordargli che nello statuto delle associazioni affiliate alla Federciclismo – di cui anche l’ASD Monviso-Venezia fa parte – e di cui dovrebbe esserne garante, cita chiaramente che tali associazioni debbano essere apartitiche. Crediamo quindi che la Federazione si potrebbe e forse si dovrebbe spendere per una denominazione meno connotata e anche molto meno provocatoria. Durante la presentazione del 28 Luglio, l’on. Davico dice: “il nome “Padania” ci identifica, per questo è nata questa iniziativa: una corsa vera fatta da gente che crede nel proprio territorio, crede nella propria gente, crede nella propria cultura, crede nella propria storia e vuole – quella storia – averla in mano. Noi diciamo, come leghisti, essere padroni a casa nostra!”. Ma attenzione “non vogliamo mischiare politica e bicicletta”. Onesto invece il campione italiano in carica Visconti “sono siciliano, cresciuto in Piemonte e vivo in Toscana: la Padania per me non esiste, ma la corsa sarà un’ottima occasione in vista del mondiale”.
Ma è così difficile, per fare un esempio banale, istituire un Giro del Nord Italia – senza che le solite camice verdi ci facciano il cappello – che potrebbe mettere d’accordo tutti tranne pochi fanatici cui forse del ciclismo importa davvero poco?