In breve questi i fatti. Una cooperativa con sede a Vimercate, ma con interessi e lavoratori anche in bergamasca, ad inizio gennaio convoca i propri soci e i dipendenti che lavoreranno per i progetti di assistenza educativa domiciliare per i comuni del consorzio brianzolo, di cui Vimercate è l’ente capofila.
All’ordine del giorno vi è un problema alquanto spinoso: ossia la richiesta, espressa nel bando, di dovere certificare, al fine del rimborso, i chilometri fatti attraverso l’applicazione gecos, scaricabile oramai su qualsiasi telefonino. La stessa cooperativa è sensibilmente preoccupata per tale richiesta, almeno così affermano i suoi dirigenti nella riunione, tanto che si sono rivolti ad un legale per accertarsi della liceità di tale richiesta.
Tuttavia la risposta dell’avvocato non è ancora arrivata: casi del genere non si sono ancora verificati, per cui manca una giurisprudenza del lavoro che regoli tali pratiche.
Allo stesso tempo, dopo avere vinto il bando, occorre iniziare a lavorare, per cui la cooperativa propone ai dipendenti di dotarsi di tale applicazione. Ovviamente, si giustifica, è tutta colpa del comune. Se qualcuno non avesse un telefonino abile a scaricare l’applicazione – aggiunge – sarà la cooperativa stessa a fornirglielo. Non sia mai che si pesi sull’economia familiare dei propri dipendenti!
Peraltro, continuano i dirigenti, la richiesta pone notevoli difficoltà anche alla stessa struttura amministrativa che da poco si è dotata di un nuovo gestionale. Per cui, se la richiesta di certificazione tramite gecos è funzionale al consorzio comunale, non lo è per la coop che si trova ad avere una doppia registrazione dei rimborsi chilometri. Una per il servizio di assistenza educativa scolastica (con gecos) e un’altra per il resto dei servizi (con il proprio gestionale).
Ne nasce una discussione interna all’assemblea, un piccolo gruppo di dipendenti protesta: non è ammissibile un’ingerenza del genere da parte di nessuno, privato o pubblico che sia. Dall’altro la maggior parte, percepisce che vi è qualcosa di insolito nella richiesta, ma tende a minimizzare o comunque preferisce non schierarsi.
Qui la riunione finisce: la comunicazione ai dipendenti è stata data ed ognuno è consapevole di quel che l’aspetta: per il momento tutti al lavoro, poi si vedrà!
Perdonateci l’uso del corsivo, è necessario per sottolineare il valore del verbo. Vedere. Su questa capacità di basa il potere disciplinare descritto da Foucault in Sorvegliare e punire. Ovvero il potere di posizionare i corpi nello spazio, renderli docili, assoggettarli affinché siano utili e più produttivi. Un potere che non si basa sulla repressione, ma, appunto, sull’organizzazione delle attività sul piano spaziale e temporale. Detto altrimenti, non vi è alcuna prescrizione che mi impedisce di fermarmi in posta per pagare la bolletta mentre mi sposto da un luogo di lavoro all’altro, ma d’ora in poi se mi fermo tutti lo sapranno. Sarò visto. Ne discende che questa condotta, essendo non produttiva, è fuori dalla norma, per cui potrei venire sanzionato. Di conseguenza, mi autolimiterò, mi adeguerò alle logiche produttive, agirò solo condotte consone al Capitale che non vuole, in quanto perdita di denaro, che mi fermi in posta.
Un esempio banale, quotidiano, forse troppo infimo, ma che può spiegare cos’è il disciplinamento dei corpi.
Una seconda considerazione. È inevitabile pensare che qualora siamo tracciati, oltre ai nostri chilometri, finiscano in rete anche altri nostri dati. Ormai è un dato palese e acclarato. Stiamo lavorando gratis per il Capitale, fornendogli in continuazione migliaia di dati. Riprendendo Foucault, il potere disciplinare è il potere di rendere soggetto. Ovvero non solo la capacità di assoggettare l’uomo, di renderlo asservito di un sistema di potere, ma di renderlo soggetto del sistema. Attuando condotte consone, quindi non fermandomi in posta, non solo rimango assoggettato ad un potere che mi domina rilevando i chilometri che percorro, ma divento promotore di un comportamento che, minimizzando il numero di chilometri, è maggiormente produttivo. Ora diremmo che a questo potere di rendere soggetto si sta aggiungendo un altro. Il potere di profilare. L’immensa mole di dati che costantemente forniamo viene ininterrottamente elaborata al fine di produrre molteplici profili con cui regolare i nostri acquisti, le nostre scelte di voto, i nostri gusti letterari, le nostre preferenze cinematografiche, e così via.
Terzo punto: qual è la posizione della cooperativa? I dirigenti possono anche stracciarsi le vesti e dire che è tutta colpa di quei cattivoni del comune. Ma la forma giuridica della cooperativa non era nata per garantire i lavoratori? Non era pensata per assicurare una forma di equità fra i soci?
Ancora una volta ci si trova di fronte ad una cooperativa che fa affari, una cooperativa i cui dirigenti si assicurano uno stipendio, a discapito di chi dirigente non lo è (ma magari è socio). Una scelta del genere, cioè partecipare al bando, non sarebbe stata materia di discussione in assemblea? Perché ha deciso un piccolo gruppo per poi scaricare il problema sui lavoratori ad accordi fatti? Ancora una volta invece che una cooperativa che dice di no a qualsiasi forma di sfruttamento, abbiamo una cooperativa che sfrutta e aiuta a far sfruttare, rimuovendo al tempo stesso le proprie responsabilità.
Infine: e i lavoratori? Nel Panopticon teorizzato da Foucault, carceriere e detenuto sono legati l’uno all’altro. La condotta di uno influenza e modifica la condotta dell’altro. In tal carcere non è possibile protestare, celarsi, sfuggire alla vista. L’uno vede l’ombra dell’altro. In questo sistema, la protesta è ancora accettabile, perché visibile e quindi controllabile. Questo vuol dire che non vi è speranza? Vuol dire che fa bene la maggior parte dei lavoratori a protestare? No. Non vuol dire ciò. Questi lavoratori sono sicuramente complici e responsabili. A noi, a tutti noi, occorre invece elaborare strategie che portino fuori della visibilità, saperci rendere notte, sapere inventare contro-condotte che accechino il potere.