Casirate d’Adda – “Per fortuna esistono imprenditori italiani o stranieri che investono in Italia e portano lavoro!”. Ormai è un mantra; in qualsiasi intervista a politici e imprenditori, queste sono le risposte alla distruzione di territori, alla costruzione di grandi infrastrutture o alla vendita di grandi terreni: “i privati porteranno lavoro e vi sarà una ricaduta sociale e occupazionale importante sul territorio”, “questi investimenti privati svilupperanno l’hinterland e porteranno prestigio”, per finire con “l’insediamento di nuove aziende porterà lavoro!”.
A tal punto è omologata la visione che sentiamo da anni sull’idea di investimenti per il territorio, sul ruolo degli imprenditori e soprattutto sull’idea di lavoro. Ma è veramente così? A conti fatti, quali sono i risultati? A parte la voce narrante mainstream, quali sono le testimonianze dei lavoratori?
Anche Bergamo e provincia sono state più volte toccate da questo argomento; ultimo in ordine di tempo, ma non per importanza, è il caso Amazon.
Ad autunno dello scorso anno, a Casirate d’Adda, Amazon inaugura il nuovo hub logistico. La previsione del colosso dell’e-commerce prevedeva 400 posti di lavoro in tre anni. Si tratta di un polo, nei pressi della Brebemi, con la funzione di centro di smistamento e non di magazzino, come presenti invece in altri centri in Italia. Ovviamente, questo nuovo insediamento ha ricevuto il plauso dei politici locali e ha suscitato speranza per i residenti in cerca di lavoro: “questo nuovo centro di smistamento è unico non solo in Italia ma in tutta Europa per la sua modernità, Amazon è uno dei più grandi player mondiali della logistica, quindi per noi di Brebemi è un vanto abbiano scelto questa localizzazione per il nuovo stabilimento. Questa inaugurazione vale più di mille parole sulla qualità di A35 Brebemi anche come uno dei motori territoriali per il rilancio dell’economia e dell’occupazione dell’intera area” ha commentato Francesco Bettoni, presidente della società A35 Brebemi. Ma anche il mondo della politica non ha mancato di sottolineare i benefici derivati da questo arrivo: “è l’esempio che dimostra come le infrastrutture incentivano gli investimenti sul territorio – ha spiegato l’Assessore Regionale a Infrastrutture e Mobilità Claudia Terzi – in questo caso parliamo di Brebemi e della Bassa bergamasca, con questa terra che proprio negli ultimi anni ha avuto grosso slancio in avanti proprio grazie a infrastrutture e investimenti” .
Eppure, dopo solo pochi mesi sono subentrate le prime criticità.
A Febbraio di quest’anno, molti lavoratori si sono rivolti ai sindacati perché, dopo un percorso di reclutamento e di inserimento nell’azienda, sono stati lasciati a casa con contratti di lavoro di durata limitata, come afferma un ex lavoratore: «Tanti mesi di attesa in un crescendo di aspettative, per lavorarne, alla fine, solo due. Io personalmente ho lavorato in Amazon dal 15 novembre al 12 gennaio come dipendente di un’agenzia interinale. Per quasi tutti è così, alle dipendenze di Adecco o di Gi Group. Dopo Natale abbiamo assistito a una prima scrematura, molte persone non sono state più rinnovate. Io e i miei colleghi più stretti, invece, abbiamo ottenuto un rinnovo: ci siamo detti, è fatta! Poi, un sabato pomeriggio, con una telefonata mi hanno avvisato che il rapporto di lavoro sarebbe finito lì. E così è stato per tanti di noi. Alcuni colleghi, addirittura, hanno scoperto la mancata proroga in piena notte, ai tornelli d’ingresso, perché i badge erano stati disattivati prima del tempo, senza alcuna comunicazione dall’agenzia».
Un altro lavoratore afferma: «[…] Del gruppo di circa 100 colleghi con cui ho iniziato a lavorare credo se ne siano salvati appena dieci. Quello che dà più fastidio è che quando mi sono recata all’agenzia interinale per consegnare il badge e ritirare l’ultima busta paga dopo la fine del contratto, ho sentito che l’agenzia chiedeva a nuovi lavoratori se fossero interessati a lavorare per Amazon. Dunque le assunzioni proseguono».
Insomma, come dichiarato dalla Nidil-Cgilm, sono stati firmati 721 contratti nel solo periodo ottobre-dicembre 2018, tutti a tempo determinato. Il 23% di essi è inferiore al mese, il 98% è inferiore ai 6 mesi. Inoltre grazie a contratti con Monte Ore Garantito (MOG), che consente una riduzione dell’orario di lavoro garantito al 25% del full time, in alcuni casi vi è la certezza di lavorare sole 9,75 ore e al massimo di essere chiamati per un numero di ore supplementari secondo le esigenze.
Il sindacato confederale dichiara: «A novembre e dicembre molti lavoratori hanno avuto un numero di ore di lavoro che si avvicina a quello di un full time e si trovano ora a fare 40 ore in un mese, senza la possibilità di organizzarsi per un secondo part time perché le chiamate dell’agenzia arrivano all’ultimo minuto e così i cambi di fascia. Questo avviene in violazione del Contratto Nazionale che prevede che il preavviso sia di 24 ore per la comunicazione dei giorni di lavoro e di 7 giorni per il cambio di fascia oraria, che può avvenire solo con il consenso del lavoratore».
Da ricordare che a fine Febbraio sono stati circa 1.200 lavoratori a scioperare a livello lombardo, di cui 300 in bergamasca, per denunciare «i carichi di lavoro a cui sono sottoposti i driver che tutti i giorni consegnano pacchi». Si parla «di un numero che arriva anche al doppio di quelli che mediamente consegna un driver», pari a circa 70-80.
In poco più di una anno le promesse e le prospettive annunciate non sono state rispettate, almeno per i lavoratori. Ed infatti sta proprio qui il fulcro della questione: come si può pensare di affidare in toto al libero mercato e alla libera iniziativa di un privato il futuro e lo sviluppo socio-economico di interi territori, nonché il benessere dei lavoratori? Come è possibile riporre le speranze in un privato che apre una attività, pensando che non metta al primo posto i propri interessi? Come possiamo essere contenti dell’arrivo di una multinazionale, balzata alle cronache per i ritmi distruttivi di lavoro, per l’utilizzo di contratti precari e per l’idea di introdurre i braccialetti elettronici per monitorare i propri dipendenti, con lo scopo di ottimizzare gli spostamenti, e quindi il profitto? Domande, queste, che forse i politici così entusiasti dell’arrivo di Amazon si sono dimenticati di porsi.
Molti lavoratori sono disposti a lavorare anche a queste condizioni, non certo perché sono contenti, ma per necessità. Eppure è chiaro che un lavoro possa essere definito tale solo se vi sono diritti ed è dignitoso per la vita di una persona; nonostante questo, purtroppo, troppo spesso il ragionamento egemonico di media e politica impone una riconoscenza da parte del lavoratore al datore di lavoro in quanto portatore di opportunità, dimenticandosi che in realtà il suo scopo primario è ovviamente quello di guadagnare, soprattutto grazie al lavoro dei dipendenti; invece proprio i dipendenti, fondamentali per lo sviluppo dell’azienda, vengono definiti in troppi contesti come debitori, persone che dovrebbero essere solo riconoscenti in toto al proprio datore di lavoro.
Troppo spesso, media e politica si dimenticano di chiedersi di quale tipo di lavoro si tratta e a quali condizioni, riflessioni spesso dimenticate e sostituite dalla prospettiva seduttrice e intoccabile di sviluppo. Ma di quale sviluppo parliamo? E per chi? E’ veramente per tutti? Questo ragionamento non riguarda solo Amazon o il mondo dell’e-commerce. Ma sicuramente queste aziende sono un esempio lampante che restituisce il significato dato al lavoro e ai lavoratori del presente.