Bergamo – Giovedì 9 febbraio, presso il circolo Barrio Campagnola, arriva Levent Cakir, attivista turco e rifugiato politico. La sua è una storia che racconta la Turchia contemporanea, fatta di sistematica repressione politica, torture, stragi e controversi rapporti di forza tra governo e esercito. Fare politica e opposizione al governo, cercare di dare voce alle minoranze (come ha fatto in questi mesi il partito di Demirtas, Hdp) è qualcosa per cui si rischia la vita, sotto il continuo attacco delle forze istituzionali. Bgreport lo ha intervistato per cercare di comprendere meglio che cosa succede in questo paese, da ormai diversi anni.
Attualmente sei rifugiato politico in Svizzera. Perché sei stato costretto a richiedere l’asilo? Qual è stata la tua esperienza politica?
“Sì, vivo come rifugiato politico in Svizzera già da alcuni anni ormai. Quando ancora vivevo in Turchia ho subito numerosi arresti, con l’accusa, assolutamente falsa, di essere un membro attivo di diverse organizzazioni comuniste clandestine, e così sono rimasto in prigione per più di un anno e mezzo. Durante questo periodo ho subito numerosi maltrattamenti e sono stato sottoposto sistematicamente a varie torture per ben 35 giorni di seguito. Nei processi che sono stati aperti a mio carico i pubblici ministeri hanno richiesto pene per un totale di 93 anni. Solamente alcuni di questi processi erano giunti a conclusione al momento della mia fuga dalla Turchia, nel settembre del 2010. Le pene inflittami allora erano di 18 anni. Sono stato arrestato la prima volta a 18 anni, allora iniziavo a interessarmi alla politica, come accade a tanti ragazzi di quell’età. In quel periodo ho partecipato alla fondazione della Federazione delle Associazioni Giovanili Socialiste (SGDF), la stessa cui appartenevano i 33 ragazzi assassinati nella strage commessa dall’Isis a Suruç, sul confine siriano, il 20 luglio 2015. In questa organizzazione ho ricoperto per alcuni anni dei ruoli dirigenti. Intorno ai 25 anni ho iniziato a collaborare con ‘Atilim’, un giornale dell’opposizione socialista, diffuso in tutta la Turchia. Da quando vivo in Europa non ho abbandonato la politica, continuo a collaborare con la redazione di ‘Atilim’, mi sono impegnato nella fondazione del Congresso Democratico dei Popoli-Europa (HDK-Avrupa), una piattaforma politica che raccoglie numerose associazioni e partiti della diaspora curdo-turca di tutto il continente. Nel congresso fondativo, tenutosi il 4 febbraio a Bruxelles, sono stato eletto nel Comitato Direttivo”
Secondo i media mainstream in Italia il governo di Erdogan ha avuto una “virata” autoritaria. Confermi quest’interpretazione o ritieni che, invece, certe categorie sociali e l’opposizione politica abbiano sempre subìto un processo di repressione da parte del governo?
“Non è vero che il governo di Erdogan abbia subito una svolta autoritaria solo nell’ultimo periodo. Quello che è cambiato negli ultimi anni è stato il venir meno dell’appoggio della NATO nei confronti di Erdogan, e ciò ha permesso che si cominciasse a parlare anche sui media mainstream della repressione messa in atto da parte del governo. Curdi e socialisti per esempio non hanno mai cessato di essere nel mirino di Erdogan.”
In poche parole, come definiresti l’attuale governo Erdogan?
“Il governo di Erdogan (o meglio, del suo primo ministro Yildirim Binali) è estremamente aggressivo, e lo è a causa della propria debolezza. Da quando la NATO ha smesso di supportare il governo dell’AKP, dopo la rivolta di Gezi Park, nel 2013, il governo ha intrapreso una politica sanguinaria, che rischia di far precipitare la Turchia in una guerra civile e di scatenare un conflitto nell’intero Medio Oriente”
Chi invece si sta attivando politicamente per cercare di contrastarlo?
“Attualmente l’opposizione più coerente e tenace nei confronti del governo dell’AKP viene svolta dall’HDP. Su un fronte diverso sono molto attivi i kemalisti, che si rifanno alla tradizione laica e secolarista di Mustafa Kemal Atatürk. Allo stesso tempo però si oppongono al governo anche alcuni dei cosiddetti ‘poteri forti’ dello Stato, alcuni settori della burocrazia, quelli che nei servizi di intelligence lavorano al soldo della NATO e i membri della confraternita dell’imam Fetullah Gülen, che ha organizzato il tentativo di colpo di stato del 15 luglio dello scorso anno”
Quanto è difficile fare attivismo politico in Turchia attualmente? C’è stato un momento, un avvenimento, qualche evento che ha fatto precipitare la situazione?
“Oggi fare politica in Turchia è estremamente difficile, praticamente impossibile. Ad aver scatenato la repressione del governo è stata l’affermazione politica dell’HDP nelle elezioni del 7 giugno 2015 che, superando la soglia di sbarramento del 10% e ottenendo addirittura il 13% dei voti, ha inflitto un colpo gravissimo alla tenuta del regime di Erdogan. L’HDP è il partito cui ha dato vita nel 2013 l’HDK, il Congresso Democratico dei Popoli, in cui si sono raccolti curdi, socialisti, femministe, attivisti del movimento LGBTI, aleviti, armeni, e tutte le altre minoranze religiose, con l’obiettivo di costruire un’alternativa democratica e pluralista alla crisi della società turca e del suo sistema politico. Da quel momento siamo stati costretti alla dolorosa decisione di chiudere tutte le sedi del nostro partito, che ha subito numerosissime e gravissime aggressioni, basti dire che 421 di esse sono state date alle fiamme. Nell’ultimo anno e mezzo sono 9000 i militanti dell’HDP arrestati, un numero spaventoso, ma che rappresenta solo la punta dell’iceberg di una repressione che sembra non conoscere limite”.